In genere chi perde una partita accusa l’arbitro, lo scarso allenamento, la sfortuna.
Mi ha stupito che l’allenatore della Nazionale femminile di volley, dopo la sconfitta ai quarti di finale olimpici, abbia imputato la sconfitta ai… social network. Commentando la bruciante sconfitta con la Serbia, il ct Andrea Mazzanti non ha avuto mezze misure: «A loro avevo detto: “Cercate di staccarvi da tutto quello che vi circonda perché la melma, quando te la tirano, è melma”. Non abbiamo perso a causa dei social, per carità, ma dobbiamo crescere da questo punto di vista».
Pare infatti che le ragazze del volley, belle e vincenti, fossero molto attive e presenti sui social e che dopo le sconfitte con Cina e Usa si fossero lasciate coinvolgere emotivamente dalle feroci critiche ricevute.
Come ci ricorda il comico Maurizio Crozza con il suo demenziale personaggio Napalm51, ormai tutti noi abbiamo una ‘doppia’ vita. Quella reale e quella sui social.
Il nostro ‘io’ si sdoppia quasi fra la realtà e il mondo digitale, dove proviamo a recitare la parte migliore di noi stessi per poi compiacerci dei like ricevuti. Nella vita digitale siamo però ancora più esposti. Forse perché siamo meno educati a gestire quel mondo, forse perché non vi sono regole – non solo di etichetta ma anche giuridiche – che ci possano tutelare e proteggere.
A maggiore nel caso di sportivi famosi, esaltati nei successi e subissati di critiche nelle sconfitte. Perché dopo una sconfitta il tuo ‘io’ reale può sempre andare a nascondersi lontano da tutti mentre quello social resta sempre attivo e presente. Non riesci a sconnetterti mai, dipendente come sei dai like e dai commenti online.
Lo abbiamo visto anche con la ginnasta americana Simone Biles e con la tennista giapponese Naomi Osaka, che hanno accusato proprio i social per la pressione che sentivano addosso e per le critiche esagerate ricevute. Anche il fuoriclasse inglese Adam Peaty, vincitore di due ori e un argento alle Olimpiadi, deve fare i conti con l’odio sulla Rete e per riprendersi mentalmente ha deciso di staccare per un mese da tutto, compresi i suoi profili social.
Noi giuristi assistiamo a questi nuovi fenomeni e non sappiamo bene come regolarli o quali regole chiedere per contrastarli o quantomeno contenerli. Volendo parafrasare Carl Schmitt, è un po’ come quando emerse l’esigenza di regolare il diritto del mare e ci si rese conto che era impossibile farlo con il semplice nomos della terra: oggi non è certo pensabile una regolazione della Rete con i tradizionali strumenti legislativi dei singoli Stati.
di Alfonso Celotto
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