Omar Palermo, conosciuto sul web come “Youtubo anche io”, aveva solo 42 anni ed è morto, racconta l’amico, per soffocamento. Una disgrazia sì, ma una morte quasi annunciata la sua, perché Omar di ‘lavoro’ era un mangiatore compulsivo. Serviva ci scappasse il morto perché si accendessero i riflettori sull’odiosa moda dilagante delle food challange, sfide a tempo in cui ingurgitare quantità industriali di cibo allo scopo di catturare l’attenzione di un pubblico affetto da un voyeurismo ormai incontentabile che gode delle stranezze altrui. È un rapporto morboso quello fra chi guarda e ama essere guardato mentre fa cose sbagliate, basato, sia chiaro, sul do ut des: tu guardi e io guadagno.
Omar, animo sensibile schiacciato dal peso degli hater, non mangiava solo per soldi. Era un malato di cibo alla mercé di sostenitori mai paghi. Non è un illecito, anche se alcune pratiche che i ragazzi consigliano nei loro dialoghi potrebbero diventarlo grazie a un disegno di legge prossimo a esser approvato: “Reato di istigazione al ricorso a pratiche alimentari idonee a provocare l’anoressia o la bulimia… e degli altri disturbi del comportamento alimentare” (articolo 50).
Se un cespo di lattuga lanciato per gioco da paperon Fedez sollevò un polverone, lo spreco di cibo perpetrato quotidianamente da sconosciuti a favor di telecamera provoca indignazioni modeste, vissuto come socialmente accettabile. Eppure è una delle principali cause del cambiamento climatico. Motivo per cui la morte di Omar riguarda tutti noi.
di Ilaria Cuzzolin
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