La caduta di Kabul avrà conseguenze geo-politiche più gravi per l’Occidente della caduta di Saigon? Panebianco ricorda un articolo di Samuel Huntington, che nel 1993 anticipava il rischio di un asse cinese-islamico, e invita al pessimismo al riguardo. Il costo politico della débâcle occidentale in Afghanistan non va certo sottovalutato: a vent’anni dall’intervento militare, e dopo aver speso centinaia di miliardi per tentare di creare uno Stato moderno in Afghanistan, la costruzione crolla come un castello di carte non appena si ritirano le truppe.
L’Afghanistan si conferma ‘cimitero degli imperi’. Finirono male i britannici due secoli fa, all’epoca signori dell’India e maggiore potenza globale; ebbero peggiore destino i russi, la cui avventura afghana finì nel secolo scorso per accelerare il crollo del loro impero, e son usciti male gli americani in questo secolo.
I contatti fra la Cina e i talebani devono preoccupare? Certamente la questione va seguita con attenzione, ma anche cum grano salis. Il problema, a mio parere, non sta nel fatto che i cinesi, che hanno un confine diretto con l’Afghanistan, aprano un dialogo con i vincitori, ma nella riflessione che il fallimento della lunga missione militare occidentale ci impone di fare. Cinicamente, si potrebbe ricordare il vecchio proverbio sud-africano (very politically incorrect): «You can take the negro out of the jungle, but you cannot take the jungle out of the negro», per concludere che in Afghanistan era comunque ‘mission impossible’. E si può anche notare che un eventuale flirt tra Pechino e i talebani dovrebbe spingere l’India verso posizioni più filoccidentali, e che anche da Mosca un tango cinese con l’islamismo sarebbe guardato con sospetto.
Ma una riflessione seria su quel che è andato storto a Kabul non può essere evitata. Il primo passo consiste nel ricordare il monito di Colin Powell – «If you break it, you own it» – prima, e non dopo il lancio di invasioni militari. Il secondo passo consiste nel comprendere che le democrazie hanno interesse a restare reciprocamente solidali e disponibili a sostenere attivamente chi si batte per la libertà sotto regimi tirannici – come in Bielorussia, ad esempio – ma devono rifuggire dall’illusione illuminista che una mera rimozione violenta dei tiranni può creare quasi magicamente società libere e rispettose delle libertà. Sul lungo termine le idee restano più potenti dei cannoni, ma la strategia di cercare di imporle a cannonate non è evidentemente efficace.
di Ottavio Lavaggi
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