Siamo il Paese del massimalismo che non tollera mezze misure e considera i compromessi farina del diavolo.
Di conseguenza ci poniamo mete alte, anzi altissime: che perciò diventano irraggiungibili. Subiamo e ci arrendiamo alla fascinazione del benaltrismo in virtù del quale quel che si può ottenere è sempre di categoria inferiore a ciò che è necessario o, peggio, a portata di mano: ne aspiriamo a pieni polmoni l’olezzo e restiamo in debito di ossigeno.
Siamo l’Italia del riformismo stentoreamente declamato e cocciutamente non praticato.
Siamo la patria del riformismo mancato che ci ha reso un legno storto che nessuno riesce a raddrizzare. Su quel legno storto tanti saprofiti hanno costruito nidi di convenienza. Perciò guai a modificare qualcosa: si disturbano gilde, logge, categorie che fanno del corporativismo la loro missione e il loro scudo.
Per cui nessuna meraviglia se arriva un alieno a Palazzo Chigi con un cronoprogramma corposo e irreversibile, figlio del vincolo esterno Ue e del bisogno estremo di rimetterci in carreggiata e immediatamente settori vari e variegati – parecchio en plain air e moltissimo di sottecchi – si mobilitano per bloccare tutto.
L’alieno è Mario Draghi che governa fuori «da ogni formula politica» (Mattarella dixit) e si ritrova la guerriglia sulla giustizia, i sabotatori sul Green Pass, i pasdaran della transizione ecologica pronti a fare gli sgambetti in Parlamento.
L’Italia ha un disperato bisogno di riformismo: serio, concreto, praticabile e altrettanto disperatamente lavora per rigettarlo. Sembra un paradosso, invece è una maledizione.
È il sortilegio che si alimenta continuamente del particulare, degli interessi singoli ostinatamente a dispetto di quello generale.
È per questo che SuperMario non media: sa che se lo facesse finirebbe nel ginepraio delle contrapposizioni.
Studia le sue riforme e le presenta in Consiglio dei ministri, dove i like sono un esercizio bandito e bisogna prendersi ciascuno le sue responsabilità. Strumentalità vuole che in quel consesso le riforme siano approvate all’unanimità, salvo poi cominciare a segarle un minuto dopo. Perfino mentre il presidente del Consiglio va in sala stampa per spiegarle.
È un atteggiamento perverso e tuttavia continuamente praticato da chi non vuole perdere le proprie rendite di posizione e le traveste da esigenze identitarie per meglio difenderle.
Però il riformismo mancato è zavorra sulle ali di tutti, in particolare dei giovani che a un certo punto si stufano ed emigrano.
Rendendoci più poveri ma sciaguratamente non meno masochisti.
di Carlo Fusi
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