Dicono che Valentino Rossi sia molto meno simpatico e disponibile dal vivo rispetto a quanto appaia in televisione. L’ho incontrato poche volte per stabilire quale sia la sua autentica natura, ma di certo so che quando ha annunciato l’addio era sereno come chi avesse dato davvero tutto.
Lionel Messi, invece, ha sempre sorriso poco, più che rivelarsi si è quasi nascosto dietro le sue sublimi giocate e anche quando ha esultato l’ha sempre fatto con un velo di malinconia tipicamente argentina.
I due – uno che lascia le moto, l’altro che se ne va dal Barcellona – hanno molte più cose in comune di quanto non se ne possa immaginare. Intanto sono due anomali fisicamente. Valentino sarebbe dovuto essere troppo alto per correre in moto e Lionel poteva essere troppo basso per giocare a calcio.
In secondo luogo hanno fatto dello sport due mestieri fin da quando erano piccoli. Valentino seguendo l’esempio di papà Graziano, Lionel trasferendosi a Barcellona per tirare calci ad un pallone quando aveva appena tredici anni e, per non farlo sentire un povero orfanello, tutta la famiglia andò con lui.
Terzo punto di contatto: sono due fuoriclasse, tanto che l’uno (Valentino) potrebbe essere definito il Messi delle piste, mentre l’altro (Lionel) è sicuramente il Rossi dei campi da calcio. Una sola differenza tangibile e ineludibile: Rossi smette e correrà in macchina, l’altro continua ancora qualche anno, ma in una squadra che, rispetto all’amata Catalogna, sarà sempre straniera.
Entrambi, però, vanno a capitalizzare: Valentino mette in banca le sue vittorie cercando di farle moltiplicare alla banca della leggenda. Lionel va a prendersi ancora qualche coppa e l’ultimo strabiliante contratto da professionista. Che sia Paris Saint Germain o Manchester City conta poco, l’importante è che sia una squadra all’altezza, non come l’ultimo tratto di pista di Valentino, ridotto ormai a comparsa nelle posizioni di rincalzo.
Sono due addii dolorosi perché finisce un’epoca: Rossi correva da trent’anni, Messi era al Barcellona da venti. Non vedere più in pista il primo e vedere con un’altra maglia il secondo sarà difficile per tutti perché è come se entrambi fossero usciti dalla propria ‘heimat’, la piccola patria dove avevano messo radici e trovato identità.
Ma se da un lato è ovvio accettare che tutto finisca, dall’altro sarà problematico sostituirne le virtù e le debolezze, come quella, rivolta a Messi, di essere un perdente quando gioca in Nazionale (anche se quest’anno ha vinto la Coppa America) o l’altra, destinata a Rossi, di avere vinto tanto perché dotato sempre – tranne che negli ultimi tre anni – delle moto migliori. In fondo ci piacevano così e chissà per quanto li avremmo voluti fedeli alla causa.
Ma il tempo inesorabile ha stabilito che fosse l’ora di cambiare.
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