«Dialogo serrato con i talebani».
L’assenza di pensiero l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte l’ha risolta appoggiandosi a un aggettivo bislacco, che nulla significa ma serviva a gonfiare la frase. Una scelta non certo frutto dell’impeto, tenuto conto dei tanti giorni trascorsi prima di rompere il silenzio sulla crisi afghana. L’esito della sortita è stato quello che sappiamo ed è servito a confermare un principio metodologico di sicula tradizione: «Cchiù lunga è a pinsata, cchiù grossa è a minchiata».
Non sappiamo se lo statista sia ricorso all’aiuto di terzi o si sia ricordato dell’analisi del politologo Di Battista che nell’agosto 2014, riferendosi ai tagliagole dell’Isis, così aveva sermoneggiato sul Blog di Grillo: «Dovremmo smetterla di considerare il terrorista un soggetto disumano con il quale nemmeno intavolare una discussione». Prendersela con Conte è però inutile, almeno quanto spiegare a un manichino in vetrina che sta indossando l’abito sbagliato. A colui che sottoscrisse con la Cina, a nome dell’Italia, il memorandum sulla Via della Seta va semmai riconosciuta stolida coerenza. Sarebbe invece utile conoscere il pensiero di Di Maio, politico concavo e convesso a seconda delle circostanze. Dal G7 virtuale dei ministri degli Esteri si è affrettato a criticare Conte ma insieme a questi è stato a sua volta definito “yes man” dallo stesso Grillo. Grande è la confusione nelle Cinque Stelle e ancor più grande è la leggerezza dei piddini che con gli ortotteri astrali insistono a volersi alleare.
di Vittorio Pezzuto
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