Cosa accomuna oggi Trump e Netanyahu
Entrambi sono alle prese con crisi interne ed estere. Ma devono anche fare i conti con la propria opinione pubblica che, nel caso di The Donald sembra avergli rovinato il compleanno con il “No King’s Day” contro la parata militare in stile nordcoreano

Cosa accomuna oggi Trump e Netanyahu
Entrambi sono alle prese con crisi interne ed estere. Ma devono anche fare i conti con la propria opinione pubblica che, nel caso di The Donald sembra avergli rovinato il compleanno con il “No King’s Day” contro la parata militare in stile nordcoreano
Cosa accomuna oggi Trump e Netanyahu
Entrambi sono alle prese con crisi interne ed estere. Ma devono anche fare i conti con la propria opinione pubblica che, nel caso di The Donald sembra avergli rovinato il compleanno con il “No King’s Day” contro la parata militare in stile nordcoreano
Prima l’apparente presa di distanza da parte di Washington nei confronti dell’attacco israeliano all’Iran, poi il messaggio del Presidente in persona. Ancora una volta Donald Trump ha mischiato le carte in tavola, da abile e imprevedibile “giocatore” quale si sta mostrando in questo suo secondo mandato alla guida degli Stati Uniti: ha definito quello di Tel Aviv un “attacco eccellente”, si è detto “non preoccupato per lo scoppio di una guerra regionale in Medioriente” e poi convinto che il piano Raising Lion di Israele potrebbe persino “aumentare le possibilità” di raggiungere un accordo sul nucleare con gli iraniani, affermando: “Forse inizieranno a negoziare seriamente”.
Ma agli stop and go di The Donald, dopo 6 mesi, ci si inizia ad abituare. Non per niente c’è chi parla di vera e propria strategia e chi, invece ha coniato il nickname di TACO (Trump Always Chickens Out), a sottolineare come la smentita, dopo gli annunci ufficiali, sia sempre dietro l’angolo. Di certo qualcosa che accomuna Trump e Netanyahu c’è, o almeno così si percepisce negli Stati Uniti, che ora vivono un momento di tensione altissima. Alimentare gli scontri nei confronti dell’avversario interno (quali sono presentati gli immigrati illegali a Los Angeles) o il nemico esterno (come nel caso dell’Iran) giova a rinsaldare il sostegno. O quantomeno questo sembra uno degli intenti.
Per ora Benjamin Netanyahu ha distolto temporaneamente l’attenzione e gli occhi del mondo da Gaza, che resta una ferita aperta non solo per l’opinione pubblica israeliana, ma anche per la tenuta stessa del suo Governo, e dunque per il suo futuro alla guida del Paese. Intanto, in America sono in molti a pensare che probabilmente il premier israeliano abbia adottare una tattica simile a quella di Donald Trump con il cambio di rotta da parte dell’ICE, l’Immigration and Customs Enforcement, ossia l’agenzia agenzia federale statunitense responsabile del controllo della sicurezza delle frontiere e dell’immigrazione.
Intanto Netanyahu stesso ha dichiarato che la missione Rising Lion era nota a Washington, lasciando intendere che ci fosse una sorta di “semaforo rosso” da parte della Casa Bianca. Certo, l’apertura di un nuovo fronte, per di più con l’Iran con cui si stava negoziando un nuovo accordo sul nucleare con la mediazione dell’Oman, non sembra agevolare The Donald, che nel frattempo festeggia il suo compleanno non senza qualche mal di pancia.
Proprio oggi le piazze americane, a diverse latitudini, vedono sfilare manifestanti per il cosiddetto “No King’s Day”. Le polemiche (le ultime in ordine di tempo) riguardano la decisione di istituire la parata per celebrare i 250 anni della U.S. Army, l’esercito statunitense, rievocando eventi analoghi che vanno in scena, ad esempio, nella Corea del Nord del dittatore Kim Jong-un.
Si tratta di cortei che si uniscono a quelli contro la decisione di intervenire per porre fine ai disordini di Los Angeles, con l’invio di Marines nella città californiana, a supporto delle forze dell’ordine e della Guardia Nazionale. Ma, proprio come Netanyahu, anche Trump non sembra intenzionato a compiere passi indietro. Al contrario, ora è anche forte della decisione della Corte d’Appello che, come ha ricordato lo stesso Presidente tramite il suo social Truth, “posso usare la Guardia Nazionale per proteggere le nostre città, in questo caso Los Angeles. Se non avessi mandato l’esercito a Los Angeles, quella città sarebbe in fiamme in questo momento. Abbiamo salvato Los Angeles. Grazie per la decisione!!!”.
Una linea analoga a quella della fermezza del leader di Tel Aviv, in questo caso contro Teheran, con Netanyahu che ha ribadito che l’attacco era previsto già per aprile, per poi essere “rimandato”. Resta da capire quali saranno le prossime mosse americane: Benjamin Netanyahu è stato il primo leader mondiale a cui Donald Trump ha stretto la mano alla Casa Bianca, dopo l’insediamento per il suo secondo mandato, dunque il legame tra i due rappresenta ancora un’incognita per Teheran, che nel frattempo ha annunciato la controffensiva contro Israele True Promise 3. Per ora sembra andata in frantumi la speranza della comunità internazionale che potesse portare a una svolta nella crisi mediorientale. La svolta, in effetti, c’è stata, ma non era quella auspicata: il leader israeliano non solo ha proseguito nel suo piano a Gaza, ma anche aperto nuovi fronti.
Di Eleonora Lorusso
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