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Il massacro di Mariupol

Mariupol, da inizio accerchiamento del 2 marzo, conta più di centomila civili morti, per la maggior gloria del Russkij Mir.

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Il massacro di Mariupol

Mariupol, da inizio accerchiamento del 2 marzo, conta più di centomila civili morti, per la maggior gloria del Russkij Mir.

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Il massacro di Mariupol

Mariupol, da inizio accerchiamento del 2 marzo, conta più di centomila civili morti, per la maggior gloria del Russkij Mir.

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Mariupol, da inizio accerchiamento del 2 marzo, conta più di centomila civili morti, per la maggior gloria del Russkij Mir.

113.750. Questa è la vertiginosa conta degli abitanti di Mariupol morti secondo gli obitori rimasti attivi nella città. L’eccidio è iniziato il 2 marzo di quest’anno con l’accerchiamento completo del perimetro urbano a opera delle truppe rusciste ed è terminato il 20 maggio con la resa dei difensori dell’impianto siderurgico di Azovstal. Tre mesi che hanno inghiottito un cittadino su cinque di una delle città più dinamiche dell’Ucraina, ora ridotta a un cumulo di macerie. Non è chiaro inoltre quante vittime siano ancora seppellite tra i palazzi crollati sulla costa del Mar D’Azov.

I più fortunati sono riusciti a evacuare verso Zaporiggia, quelli meno sono stati invece deportati in Russia e, nel caso di minori, dati in affido a famiglie siberiane con la promessa di una prebenda. Le poche migliaia di persone rimaste sono ora senz’acqua corrente, gas ed elettricità: per ricaricare i cellulari devono recarsi nelle piazze dove stazionano i camion russi dotati di prese Usb e maxi schermi che trasmettono propaganda silovika non stop a tutte le ore del giorno. L’uso di acqua non potabilizzata ha poi favorito lo scoppio di un’epidemia di colera, accentuata dal disinteresse russo verso la rimozione dei cadaveri ancora disseminati per le strade nonostante l’arrivo dell’estate avesse peggiorato il tanfo pestilenziale dei corpi in putrefazione. Soprattutto è sparita qualsiasi possibilità di lavoro e i generi di sussistenza sono distribuiti dall’esercito del Cremlino solo a fronte di un’opera di ‘volontariato’ come la rimozione dei detriti dalle strade o la sovrapposizione del tricolore russo su ogni traccia pittorica della livrea giallazzurra.

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Nonostante questo sfacelo qualche impavido ancora condivide filmati in cui si muove con la bandiera ucraina a mo’ di mantello tra le rovine, sfidando la brutalità del criminale Putin. Non sorprende quindi che il 20 agosto scorso una bomba sia stata piazzata all’ingresso dello zoo di Mariupol nel tentativo – non riuscito – di eliminare il neosindaco Konstantyn Ivashchenko nominato dalle forze d’occupazione. Sono azioni di questo tipo che danno il valore della resistenza ucraina, attiva anche in situazioni del tutto catastrofiche a scorno di un’invasione che ha l’obiettivo dichiarato di cancellare il Paese dei Girasoli dalla storia e dalle carte geografiche.

A impensierire Mosca non sono però le eliminazioni dei collaborazionisti. Il comando supremo ucraino ha chiesto un silenzio assoluto sulla controffensiva in corso nell’area di Chersòn per evitare che i russi – a corto di droni – captino informazioni sul campo di battaglia dagli efficientissimi Osint (ricercatori da fonti open source) che analizzano con profitto ogni giorno i filmati e le fotografie dal fronte. L’artiglieria zetista è infatti costretta a sparare alla cieca e, nel tentativo di alleviare la pressione della controffensiva, tutti i 1.500 chilometri di fronte attivo sono stati oggetto di un bombardamento a tappeto dagli scarsi risultati. L’unico raggiunto è stato quello di aver moltiplicato i rapporti di fusti d’artiglieria per così dire ‘fioriti’, cioè esplosi col colpo in canna a causa dell’usura e dell’uso smodato. Nonostante i bombardamenti, sia Charkìv a Nord che Bachmut a Est resistono ancora all’assalto delle Z truppen così come i sopravvissuti di Mariupol che guardano ai tentativi per la liberazione di Chersòn come un buon auspicio per la loro futura libertà.

di Camillo Bosco

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