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I commissari europei

I commissari europei hanno preso posto nel vagone della Commissione e sono partiti per un viaggio che durerà quattro anni

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I commissari europei hanno preso posto nel vagone della Commissione e sono partiti per un viaggio che durerà quattro anni

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I commissari europei hanno preso posto nel vagone della Commissione e sono partiti per un viaggio che durerà quattro anni

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I commissari europei hanno preso posto nel vagone della Commissione e sono partiti per un viaggio che durerà quattro anni

I loro nomi sono stati segnalati dai 27 Stati nazionali; i loro ruoli sono stati assegnati dalla presidente, già nominata e in carica; la loro missione consiste nel difendere e far crescere gli interessi europei, essendo escluso che possano servire quelli nazionali. I commissari europei hanno preso posto nel vagone della Commissione e sono partiti per un viaggio che durerà quattro anni. La prima tappa, non senza trambusti, sarà la loro stessa conferma da parte del Parlamento europeo. Tempi e modi sono quelli delle democrazie, decisamente più efficienti del metodo Putin con le eliminazioni fisiche. Il debutto deve essere letto sotto tre profili: a. partitico nazionale; b. politico funzionale; c. sostanziale.

Benché ciascun commissario rappresenti l’Unione e non il proprio Paese è inevitabile – sebbene puerile – che si guardi alla collocazione del proprio connazionale. Per l’Italia si guarda ai galloni di Fitto: i vicepresidenti esecutivi sono 6, non proprio un club esclusivo; le deleghe sono importanti; una volta avvenuta la conferma quasi non si parlerà più né dei galloni né delle deleghe. Sarà già molto se si parlerà del lavoro che Fitto starà svolgendo.

Meloni ha festeggiato la nomina affermando che l’Italia torna finalmente a contare. Con tutto il rispetto: solitamente lo dice chi non conta. L’Italia non ha mai smesso di contare. Circa il contare del proprio commissario (ne furono nominati che non contarono niente, come ci capitò con l’Alto commissario per la politica estera, nominata da Renzi), dipende dal lavoro che saprà fare. A Raffaele Fitto i migliori auguri di buon lavoro, tanto più che sono auguri a tutti gli europei.

Poi c’è l’aspetto politico funzionale: il cambio di candidato francese dimostra non un imbarazzo, ma una crescita di peso per l’Eliseo e Macron. Segnala che il voto favorevole dei Verdi a von der Leyen non ha spostato l’asse politico. A indebolirsi sono i socialisti. Ciò potrebbe covare delle sorprese nel voto di conferma di ciascun commissario. Per quel che ci riguarda la destra italiana al governo voterà assieme ai popolari, ai liberali e ai socialisti. Lo negarono ma lo faranno, altrimenti il solo italiano in causa potrebbe avere dei problemi.

Una volta che il treno sarà partito le maggioranze parlamentari cambieranno di continuo, come il paesaggio, variando a secondo dei temi. Il peso dell’Italia non cambierà al Consiglio europeo e quello delle forze che oggi compongono il governo non salirà al Parlamento europeo. A meno che qualcuno non si decida a usare il linguaggio della realtà e della sincerità nel ricordare che l’avvenire dell’Italia sarebbe rovinoso, senza lo strettissimo legame con l’Unione europea.

Infine c’è la sostanza, che prevale perché ha una forza che risiede nei fatti, ma non è detto che sia affrontata nel modo migliore e più conveniente: la legislatura che si apre deve mettere mano a passaggi generali di grande portata, elencati nel Rapporto richiesto da von der Leyen e redatto da Mario Draghi. Ciascuno deve sapere che quei passaggi sono legati l’uno all’altro: non ci saranno difesa comune e comune industria della difesa senza cessione di sovranità in politica estera; non ci sarà il potenziale finanziario, generato da debito comune, senza accettazione e pratica della decarbonizzazione e del salto energetico, ivi comprese le vetture; non ci sarà mercato europeo dei capitali senza accettazione di tutte le sue regole e senza puntare a banche europee e non nazionali; non ci sarà solidità delle frontiere con 27 politiche nazionali dell’immigrazione; non ci sarà nulla di ciò senza modifiche istituzionali che introducano il voto a maggioranza, il che significa ammettere che si può finire in minoranza.

Si può osservare che di nulla di tutto ciò le forze politiche, componenti i governi o le opposizioni, stanno parlando con schiettezza alle opinioni pubbliche. E questo è un problema che attiene all’avvizzimento ideale e al rattrappimento propagandistico. Ma è anche l’opportunità per qualche cosa di meglio.

di Davide Giacalone

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