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Il Libano, la guerra e l’Europa irrilevante

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La guerra fra Israele ed Hezbollah, fra Israele e il braccio armato dell’Iran nel martoriato Paese mediorientale, rischia di far deflagrare l’intera regione

La guerra fra Israele ed Hezbollah

La guerra fra Israele ed Hezbollah, fra Israele e il braccio armato dell’Iran nel martoriato Paese mediorientale, rischia di far deflagrare l’intera regione. Un conflitto già in corso e un incendio potenziale in grado di destabilizzare l’area molto più di quanto possa la stessa tragedia della Striscia di Gaza.

Con buona pace dei pacifisti a giorni alterni, pronti a bruciare bandiere israeliane e statunitensi al grido di «Free Palestine!» e stranamente silenti nei giorni dei bombardamenti di Hezbollah sul Nord di Israele e della durissima risposta di Tel Aviv.

Perché questa è un’altra storia, nel gigantesco e inestricabile contesto mediorientale. Perché la furibonda ideologia, pronta a scatenarsi se di mezzo ci sono i palestinesi, funziona molto meno nel caso dei terroristi foraggiati da Teheran.

Sarà che i barbuti e ieratici leader sciiti, così bravi a invocare il sangue dalla propria stessa gente contro l’eterno nemico israeliano, fanno poca simpatia. Persino fra chi è pronto a scambiare l’unica democrazia esistente nella regione con il proprio nemico.

A dispetto dei titoloni strillati dai giornali e dai servizi in tv, la nostra opinione pubblica osserva distratta, assuefatta da decenni di crisi e guerre in quel Paese esotico e sostanzialmente ignoto ai più che risponde al nome di Libano. Invece è proprio lì – così come a Gaza e in Ucraina – che ci stiamo giocando un pezzo del nostro futuro. Del senso e della capacità dell’Occidente di tutelare sé stesso prima ancora che gli interessi sullo scacchiere internazionale.

Per far ciò è necessario assumere un protagonismo diplomatico, solo che alla colpevole distrazione delle pubbliche opinioni si aggiunge un’impalpabilità delle cancellerie europee che solo occhi interessati possono far finta di non vedere. Siamo aggrappati alla diplomazia statunitense: è solo il segretario di Stato americano Blinken – con l’appoggio degli scaltri mediatori d’area qatarioti e di un minimo ruolo egiziano – ad aver tentato e ritentato. Pur davanti a una serie di fallimenti determinati dal mostruoso cinismo dei terroristi di Hamas e dallo scoperto disegno politico di Netanyahu: arrivare a novembre e vedere come va a finire alla Casa Bianca.

Quanto all’Europa, intesa come Unione, l’unica cifra è l’assenza. L’irrilevanza europea è una nostra responsabilità: siamo noi italiani, francesi, tedeschi, spagnoli a non volere una vera politica estera dell’Unione. Gelosi di prerogative che rischiano, nel mondo del Terzo millennio, di apparire solo malinconiche eco di un mondo mitizzato.

L’antico adagio “L’unione fa la forza” avrebbe dovuto spingere – se non altro per istinto di sopravvivenza – a buttare a mare sciovinismi patetici e trovare nuova forza e identità sotto l’ombrello dell’Unione europea, eppure se si tratta di politica estera vincono le sirene dell’illusione nazionalista.

di Fulvio Giuliani

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