La terza sedia
La storia non sta sulle sedie del Vaticano ma nel corpo non più corpo di Viktoriia Roshchyna. La morte criminale della giornalista è la morte della verità
La terza sedia
La storia non sta sulle sedie del Vaticano ma nel corpo non più corpo di Viktoriia Roshchyna. La morte criminale della giornalista è la morte della verità
La terza sedia
La storia non sta sulle sedie del Vaticano ma nel corpo non più corpo di Viktoriia Roshchyna. La morte criminale della giornalista è la morte della verità
La terza sedia. Durante i funerali del pontefice argentino si sono seduti uno di fronte all’altro Donald Trump e Volodymyr Zelensky. La fotografia ha fatto il giro del mondo e anche di più ed è stata subito definita storica. La fotografia di Viktoriia Roshchyna – giornalista ucraina, 27 anni, bella, coraggiosa, libera – non è stata definita storica e non lo sarà mai. Quella immagine ritrae ciò che non esiste più perché la giornalista di Radio Free Europe, che svolgeva indagini sugli agenti dell’Fsb nelle zone occupate, è stata prima arrestata, quindi imprigionata, torturata e quando il suo corpo è stato restituito all’Ucraina non era fisicamente più lei: non aveva più gli occhi, il cervello, la laringe e altre ‘parti’ di ciò che un tempo fu una donna. La storia – sostantivo abusato fino alla perdita di senso – non sta sulle sedie del Vaticano ma nel corpo non più corpo di Viktoriia Roshchyna.
Cosa sappiamo noi realmente/veramente della guerra fra la Russia (invasore) e l’Ucraina (difensore)? Dobbiamo dircelo nettamente: poco, molto poco. Ma quel poco che sappiamo lo dobbiamo anche e soprattutto a donne e uomini che descrivono, osservano, testimoniano sul campo di guerra la guerra e per questa loro azione di informazione o sono arrestati (illegalmente) o sono uccisi. Quanti sono oggi i giornalisti ucraini nelle mani della Russia di Putin? Sono circa trenta ma delle loro condizioni e delle loro vite e morti non si sa molto. Potrebbero essere stati uccisi, saranno stati torturati. Però una cosa la sappiamo e la sappiamo molto bene, anche se in molti dalle nostre parti fanno finta di non sapere o si girano dall’altra parte e – ma guarda un po’ – accusano noi europei e occidentali: i russi temono i testimoni, i cronisti, i reporter e, insomma, temono notizie e verità.
Ecco perché la morte criminale di Viktoriia Roshchyna è la morte della verità. Lo si dice comunemente: la prima vittima della guerra è la verità. Ma lo si dice anche senza sapere cosa realmente si sta dicendo: perché una cosa può essere la propaganda in una democrazia e ben altra cosa è la disinformazione in una dittatura. Nel secondo caso la verità è uccisa due volte. Una prima volta perché dice ciò che non si deve conoscere.
Una seconda volta perché la verità è inutile in un regime dittatoriale che si regge sulla paura. Anche le minacce di Mosca a Kiev sulla parata di ieri rientrano alla perfezione nella strumentalizzazione del passato per cambiare le carte in tavola del presente e così identificare gli ucraini come nazionalsocialisti e i russi come i salvatori della patria. Un’evidente manipolazione dei fatti e delle idee in cui i russi – bisogna pur riconoscere questo loro primato – sono dei fuoriclasse fin dai tempi di Lenin e della rivoluzione d’ottobre.
Noi del colloquio fra Trump e Zelensky a Roma non sappiamo nulla. Tuttavia, una cosetta la possiamo sapere se non ci bendiamo gli occhi e non ci tappiamo le orecchie: il presidente americano aveva terribilmente torto quando trattò il presidente ucraino come uno scocciatore venuto a raccontare storie alla Casa Bianca. No. Le storie le ha raccontate il dittatore russo del quale nessuno oggi può fidarsi, perché i suoi atti contraddicono le sue parole e i suoi uomini uccidono sistematicamente chi prova ad alzare il velo delle menzogne con cui in Russia e nelle terre occupate in Ucraina si coprono verità e terrore.
C’era una terza sedia in San Pietro. Tanto si è discusso, fino alla nausea, su a chi fosse destinata. A Macron o all’interprete? No. Quella era la sedia di Viktoriia Roshchyna. La sedia della verità su cui è seduta la storia. Assente.
Di Giancristiano Desiderio
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