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Noi e Israele

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Israele rimane una grande democrazia, l’unica nell’area mediorientale. Non è questione di fare i conti su quante fossero le persone scese in piazza per lo sciopero generale di tutti quelli che vogliono una tregua per arrivare alla liberazione degli ostaggi rimasti nelle mani di Hamas

Noi e Israele

Israele rimane una grande democrazia, l’unica nell’area mediorientale. Non è questione di fare i conti su quante fossero le persone scese in piazza per lo sciopero generale di tutti quelli che vogliono una tregua per arrivare alla liberazione degli ostaggi rimasti nelle mani di Hamas

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Noi e Israele

Israele rimane una grande democrazia, l’unica nell’area mediorientale. Non è questione di fare i conti su quante fossero le persone scese in piazza per lo sciopero generale di tutti quelli che vogliono una tregua per arrivare alla liberazione degli ostaggi rimasti nelle mani di Hamas

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Israele rimane una grande democrazia, l’unica nell’area mediorientale. Non è questione di fare i conti su quante fossero le persone scese in piazza per lo sciopero generale di tutti quelli che vogliono una tregua per arrivare alla liberazione degli ostaggi rimasti nelle mani di Hamas. Mezzo milione di persone, un milione di persone, cambia poco perché la mobilitazione è stata davvero generale e di massa. Un segnale di come in democrazia, per criticare le scelte di un governo (in questo caso quello di Benjamin Netanyahu), si possa far sentire la propria voce.

La linea politica attuale del governo israeliano non cambia e non sembra neppure in futuro destinata a mutare

Premesso ciò, ed era doveroso, è un fatto che la linea politica attuale del governo israeliano non cambia e non sembra neppure in futuro destinata a mutare. È notizia di ieri che il capo di Stato maggiore dell’esercito israeliano (Idf), Eyal Zamir, ha approvato il piano per occupare Gaza City e lo presenterà oggi al ministro della Difesa. Secondo quanto riportato ieri da Channel 12, nei colloqui a porte chiuse degli ultimi giorni, Zamir avrebbe pure affermato che la prevista evacuazione della popolazione di Gaza City durerà poco meno di due mesi, dopodiché si procederà all’accerchiamento e all’occupazione della città, con la chiosa del capo dell’Idf che cercherà «di ridurre al minimo possibile l’impiego delle forze di riserva». 

Per restar ancora un istante sul tema della democrazia, è importante far notare che chi fa politica ed è contrario alle scelte di Netanyahu (come quella di occupare Gaza) oggi in Israele ha il compito non soltanto di fare opposizione e protestare ma anche di organizzarsi per prendere parecchi voti alle prossime elezioni, vincerle, sconfiggere Netanyahu e cambiare le cose. Non facile, ma questa è la democrazia. 

Israele e gli scenari geopolitici

Quanto agli scenari geopolitici e agli attori in campo sul palcoscenico internazionale, la situazione è in continuo divenire e assai effervescente. Anzitutto Netanyahu ha compreso che in questo momento storico stanno cambiando tutti gli equilibri globali e sta spingendo con le maniere forti per cambiare quelli in Medio Oriente. Volendo essere machiavellici, non è affatto escluso che nell’incontro in Alaska con il presidente americano Donald Trump, il presidente russo Vladimir Putin abbia messo sul piatto di una trattativa (che oramai sappiamo essere stata più ampia e globale rispetto alla sola questione Ucraina) anche la questione mediorientale e una sua possibilità di pressione sia sull’Iran che su Israele.

Facile intuire la prima, meno la seconda che pure c’è

Facile intuire la prima, meno la seconda che pure c’è. I rapporti fra Mosca e Israele hanno una storia importante alle spalle, l’Unione Sovietica fu tra i primi Stati a riconoscere lo Stato di Israele alla sua nascita e, venendo agli anni più recenti, molta migrazione verso Tel Aviv (e le altre città israeliane) arriva soprattutto dalla Russia o da altri Paesi dell’Est. L’ipotesi di una pressione di Putin potrebbe, del resto, non dispiacere al presidente americano Trump che sta sicuramente appoggiando Netanyahu ma che, sui tempi lunghi, potrebbe essere politicamente logorato da questo appoggio incondizionato (o quasi). Vedremo nei prossimi giorni e settimane come evolverà la situazione politica nel Medio Oriente. 

Nell’attesa non possiamo però non toccare una questione italiana, che ovviamente riguarda Israele ma pure la sinistra di casa nostra. La decisione di escludere Israele dalla prossima Fiera del Levante di Bari non ha alcun senso, né politico né umanitario né economico. E il dramma è che si tratta di una scelta non dovuta ad un colpo di sole, bensì ideologica ed evidenziata con parole come queste: «Non gradita la partecipazione in qualsiasi forma dello Stato di Israele o di suoi rappresentanti fino a quando non porrà fine all’intervento militare nella Striscia di Gaza». Parole che confondono il popolo di Israele con la politica del suo governo, escludendo il primo mentre il secondo (il governo) va per la sua strada.

Senza Israele che Levante è?

Augurandoci che in Puglia cambino idea, un’ultima riflessione: senza Israele che Levante è? Ragion per cui che la Fiera cambi nome. In Fiera del Levante dimezzato.

di Massimiliano Lenzi

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