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Non dimenticare la popolazione

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La diplomatica canadese Deborah Lynes ha presentato una relazione il 17 novembre scorso al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nella quale spiega lo stato effettivo attuale dell’Afghanistan attraverso diversi punti.

Non dimenticare la popolazione

La diplomatica canadese Deborah Lynes ha presentato una relazione il 17 novembre scorso al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nella quale spiega lo stato effettivo attuale dell’Afghanistan attraverso diversi punti.
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Non dimenticare la popolazione

La diplomatica canadese Deborah Lynes ha presentato una relazione il 17 novembre scorso al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nella quale spiega lo stato effettivo attuale dell’Afghanistan attraverso diversi punti.
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Questa volta l’appello viene da una diplomatica canadese di lunga esperienza, l’inviata speciale delle Nazioni Unite Deborah Lynes. Il 17 novembre scorso ha presentato una relazione sullo stato dell’Afghanistan al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, un documento che rappresenta la situazione del Paese al di là delle solite narrazioni. Il primo punto che viene messo in evidenza riguarda la valutazione che l’inviata dell’Onu fa delle interazioni sviluppate con l’amministrazione talebana: le giudica, testualmente, «utili e costruttive» sia a Kabul che nelle province, e ne illustra le ragioni. I nuovi governanti afghani forniscono sicurezza alla presenza delle Nazioni Unite in tutto il Paese e consentono un ampio accesso umanitario, anche per il personale femminile delle missioni umanitarie. «Questa mutata situazione di sicurezza ci ha permesso di visitare parti del Paese che non visitavamo da quindici anni, fornendo assistenza vitale», ha precisato Lynes. La relazione affronta poi il tema della situazione generale della sicurezza nel Paese. Per l’inviata delle Nazioni Unite risulta migliorata perché il conflitto è in gran parte terminato, ma preoccupano le discriminazioni nei confronti delle donne e delle minoranze nonché le uccisioni extragiudiziali di ex appartenenti alla precedente amministrazione. Il principale nemico del governo talebano è ora lo Stato islamico del Khorasan del Levante, che sembra colpire in quasi tutte le province ed è sempre più attivo. Il numero di attacchi è aumentato in modo significativo – dai 60 del 2020 ai 334 attacchi di quest’anno – e sono soprattutto le comunità sciite a essere prese di mira. Ma è sulla situazione della popolazione che Lynes lancia l’allarme: «Siamo sull’orlo di una catastrofe umanitaria». Un afghano su due affronta l’insicurezza alimentare e si prevede che per l’inverno 23 milioni di afghani saranno a livelli di emergenza per la fame. Molti dipendenti pubblici hanno stipendi ridotti o non sono pagati. Gli ospedali stanno esaurendo le medicine e allontanano i pazienti. Le sanzioni finanziarie applicate all’Afghanistan hanno paralizzato il sistema bancario. Il Pil si è contratto di circa il 40% e il contante è fortemente limitato. Lynes prospetta dunque il rischio che il deterioramento dell’economia formale finisca per alimentare i traffici di droga, di armi, di esseri umani e il terrorismo, che potrebbero anche infettare l’intera area regionale. Infine, le conclusioni sono forse sorprendenti per una diplomatica di formazione occidentale: «Il modo migliore per promuovere la stabilità e il sostegno internazionale è che ai talebani sia evitato l’isolamento che ha caratterizzato la loro precedente esperienza al potere». Per l’inviata delle Nazioni Unite è dunque necessario «un dialogo politico sostenuto e strutturato» tra le autorità talebane de facto, le altre componenti afghane, la comunità regionale e internazionale. Da qui il monito: «Non è questo il momento di voltare le spalle al popolo afghano. Se lo facciamo, il nostro fallimento collettivo risuonerà per decenni, così come il dolore di milioni di afghani». Vedremo cosa decideranno il Consiglio di sicurezza dell’Onu e la comunità internazionale, specie sui nove miliardi di euro delle riserve dello Stato afghano rimasti bloccati nelle banche centrali di qualche Paese occidentale. In molti si chiedono se sia il caso di soprassedere sulla ‘doppia morale’ usata per i talebani, quando non sono gli unici nel mondo a governare con la sharia e a non salvaguardare il sistema dei diritti. Varrebbe la pena costringerli subito a un confronto dedicato ai diritti umani se, come dicono, sono pronti al dialogo. Questo significa pensare subito, concretamente, ai bisogni del popolo afghano: il loro primo diritto è la sopravvivenza al terrorismo, alla fame e all’inverno.   di Maurizio Delli Santi
Membro dell’International Law Association

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