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Profughi afghani, la comunità internazionale al bivio fra ipocrisia e realismo politico

La questione dell’oscurantismo dell’Emirato talebano e dei 38 milioni di profughi afghani. Molti di loro in fuga.
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Sulla questione afghana sono stati sviscerati tutti i mainstream della “sconfitta dell’Occidente”; dei dividendi che ne trarranno Cina, Russia, Turchia e Pakistan; dell’oscurantismo dell’Emirato talebano, guardato sempre di più come il nuovo santuario dei terroristi del jihad globale.

Quanto questo approccio sia utile per fronteggiare la situazione è tutto da verificare. Come era già prevedibile, nonostante le litanie sul ritiro, alea iacta est: l’Afghanistan è stato lasciato in mano ai talebani, che ora devono reagire alla minaccia diretta dell’Isis-K, gestire i rapporti con Al Qaeda che premerà per riconquistare la leadership sul jihad globale, e pensare anche ai vari gruppi di resistenza anti-talebana, a cominciare dai mujiadin del Panshir, con cui stanno cercando di negoziare.

In ogni caso l’attacco dell’Isis-K è una netta conferma che i talebani, per quanto discutibili per le loro scelte integraliste e certamente inclini a violenze e persecuzioni, non possono essere accomunati al network globale del jihad a oltranza contro l’Occidente, anche perché seppure in passato hanno favorito Al Qaeda secondo Gilles Kepel lo hanno fatto per il ‘fine interno’ di allontanare gli invasori occidentali.

A questo punto, cosa fa la comunità internazionale quando ci sarebbe bisogno di decisioni ferme, tempestive e condivise per il nuovo assetto dell’Afghanistan?

Il richiamo al tema dei diritti dell’ultima risoluzione delle Nazioni Unite era nell’aria, ma sono dubbi gli effetti che sortirà. D’altro canto non era affatto ipotizzabile la safe zone voluta da Macron e Johnson senza prevedere un nuovo schieramento di forze, un progetto cui non a caso Cina e Russia non hanno voluto dare il consenso.

Almeno non ha avuto spazio il ‘partito delle sanzioni’, una scelta che avrebbe indotto gli studenti coranici – che invece richiedono riconoscibilità e sostegno – a reagire all’isolamento internazionale abbracciando anch’essi il jihad globale.

Si conferma dunque l’urgenza di un G20 che dovrà negoziare il nuovo assetto dell’Afghanistan.

Intanto Jhoseph Borrell, l’Alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza dell’Ue, è stato ancora caustico contro il ritiro degli Stati Uniti arrivando a perorare la causa di una forza europea capace di esprimere una proiezione strategica autonoma. Una reazione forte, che probabilmente tradisce un retropensiero: come farà ora l’Europa a gestire una pressione migratoria che potrà rilevarsi epocale? L’Afghanistan ha 38 milioni di abitanti ed è plausibile che in molti sceglieranno di lasciare un Paese in preda al caos, piuttosto che soccombere sotto un regime oscurantista e i rischi del terrorismo o della guerra civile.

Se non vuole abbondonarsi soltanto alle retoriche del senno di poi, l’Unione europea ha ora il dovere politico e morale di affrontare con serietà la pressione migratoria proveniente dall’ Afghanistan.

E certamente sta ai tre Paesi che indubbiamente detengono l’attuale leadership dell’Unione – Italia, Francia e Germania – dettare la linea e dare un esempio di accoglienza. Con gli altri ci sarà di tempo di chiarire le posizioni, richiamandoli ai doveri di tutela dei diritti umani e anche di “solidarietà tra gli Stati membri” previsti dagli art. 2 e 3 del Trattato sull’Unione.

Di Maurizio Delli Santi

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