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Riforma elettorale “all’italiana”: la nuova ossessione Usa

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Gli Usa del 2025 si stanno appassionando al tema della riforma elettorale, ispirandosi a quella italiana. E questo non è un bel segnale per la salute della democrazia americana

Riforma elettorale “all’italiana”: la nuova ossessione Usa

Gli Usa del 2025 si stanno appassionando al tema della riforma elettorale, ispirandosi a quella italiana. E questo non è un bel segnale per la salute della democrazia americana

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Riforma elettorale “all’italiana”: la nuova ossessione Usa

Gli Usa del 2025 si stanno appassionando al tema della riforma elettorale, ispirandosi a quella italiana. E questo non è un bel segnale per la salute della democrazia americana

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Se al mondo c’è un popolo, anzi una classe politica specializzata nel dibattere, nello spaccarsi e nel provare a cambiare il sistema elettorale (con grandi tenzoni su come dividere i collegi), ebbene è quella italiana. Una specialità. Usciti dalla dittatura fascista, i Costituenti optarono per il proporzionale onde evitare ritorni di tentazioni ‘autoritarie’ usando a pretesto i voti presi nelle urne. In fondo Benito Mussolini e il fascismo al potere ci arrivarono anche grazie alla Legge Acerbo, una legge elettorale.

Il proporzionale resse bene e per decenni in Italia, ma con la crisi della prima Repubblica sotto le inchieste di Mani Pulite ecco cominciare le tarantelle sul sistema elettorale da cambiare. 1993, il sistema maggioritario corretto (noto anche come “Mattarellum”) che avrebbe dovuto salvare il centro, con la Democrazia Cristiana – poi Partito popolare – già in piena crisi. 2005, proporzionale corretto con soglie di sbarramento e premio di maggioranza, noto anche come “Porcellum”. Da notare, riforma voluta dal centrodestra allora al governo che alle politiche del 2006 perderà le elezioni con il nuovo sistema elettorale. Arriva il 2015 e con lui l’“Italicum”, passano due anni ed ecco spuntare il “Rosatellum”.

A parte la fantasia nei nomi che l’Italia sa dare alle sue riforme elettorali, resta la fragilità di un Paese che non riesce a fare a meno di cambiare (o di discutere di come cambiare) il proprio sistema elettorale. Operazione che spesso ha finito con lo svantaggiare nelle urne chi l’aveva caldeggiata.

Questa storia italiana oggi dovrebbe essere letta con attenzione negli Stati Uniti, sia dai repubblicani di Donald Trump che dall’opposizione democratica. Sì, perché l’America del 2025 si sta appassionando, all’italiana, al tema della riforma dei collegi elettorali. Fatte le debite differenze fra gli Usa e il nostro Belpaese, non è un bel segnale per la salute della democrazia americana. Vediamo perché. In Texas l’attuale governatore dello Stato, il repubblicano Greg Abbott, si è incaponito sul gerrymandering (parola inglese che può essere tradotta come ‘manipolazione dei collegi elettorali’) e il cambiamento dei collegi è quasi cosa fatta. Tra l’altro i texani non si sono fatti mancare neppure una certa drammaticità, visto che lo stesso Abbott a inizio agosto era arrivato a chiedere l’arresto degli eletti democratici del Texas perché avevano lasciato lo Stato pur di cercare di evitare di approvare la legge sulla modifica dei collegi elettorali.

Se dal Texas passiamo alla California, Stato a guida democratica retto dal governatore Gavin Newsom (che sta provando a giocare tutte le sue carte per diventare l’anti-Trump), ecco che al centro delle divisioni politiche troviamo pure qui il tema di modificare i collegi elettorali. Stavolta per volontà non dei repubblicani ma dei democratici. Ebbene, in questo duello sul sistema elettorale a uscire sconfitta è soprattutto la politica, visto che sembra perdere di vista ciò che davvero conta in una democrazia sana e competitiva come dovrebbe essere quella americana: il consenso degli elettori. Quello reale, quando sono chiamati a scegliere da chi e su quali programmi farsi governare. Il resto, disegnare collegi, attiene alla tecnicalità di esperti elettorali che col consenso c’azzeccano assai poco.

Sperando che negli Stati Uniti i casi del Texas e della California non finiscano per contagiare tutti gli altri Stati americani (sarebbe una iattura per l’America), forti dell’esperienza italiana suggeriamo al texano Abbott e al californiano Newsom due nomi per i loro sistemi elettorali. Il “Texanellum” e il “Californiellum”. Sperando che la sonorità linguistica del latino, così concreta, li aiuti a comprendere che stanno sbagliando strada.

Di Massimiliano Lenzi

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