Che le forze politiche cerchino consensi è normale. Che ci si orienti, ciascuno con i propri gusti, verso minoranze chiassose, trascurando le maggioranze operose no, non è normale. In questa anomalia si trova il segno di uno squilibrio politico che attraversa le democrazie, sebbene ciascuno lo viva con linguaggi e conseguenze che sembrano prettamente nazionali. Che chi aspira ad avere la maggioranza sia attento agli interessi e agli umori delle minoranze è buona cosa. Che provi a imporli a dispetto e costo delle maggioranze no, non lo è.
Non è privo di significato che chi oggi recalcitra sulla via dei vaccini e si frappone su quella del pass sia chi ieri esplicitamente chiedeva di farla finita con l’Unione europea e l’euro, trovandosi poi a essere maggioranza in un governo di segno opposto. Travestendolo da costume d’opposizione a presunti poteri forti, definiti con formula di rara demenzialità “mainstream”, era un istinto di opposizione alla realtà. Quel modo di pensare era il rifiuto del dovere conciliare i propri sovrani desideri con il peso del proprio debito sovrano.
In altre parole: la prepotenza del volere consumare anche quel che non si è mai prodotto. Roba che ha avuto un peso esagerato nel dibattito di diversi Paesi e straordinario nel nostro, posto che la pressoché totalità dei produttori di ricchezza e la grandissima parte dei cittadini sapevano bene che appresso a quelli c’era solo da perderci. Come oggi, del resto, la stragrande maggioranza dei ragionevoli sa bene che vaccinarsi non è la panacea e attenersi alle regole non è garanzia d’immunità, ma sono le sole cose razionali da farsi.
Ed è proprio questa la stranezza: visto che la più vasta prateria di consensi non rappresentati si trova in quest’area della ragione – che banalmente potrebbe essere definita centrista e che figurativamente si ritrova attorno alla figura del presidente del Consiglio – perché mai i professionisti della ricerca del consenso corrono appresso ad altro? Avviene per due ragioni. La prima ha a che vedere con la visibilità: rappresentare una pulsione estrema consente di avere maggiori spazi, tenendo presente che quel genere di minoranze sono assai rumorose – al contrario delle maggioranze operose – e più presenti sui social network, ove gli altri passano per caso.
La seconda è che nel mondo del presentismo esasperato, senza passato di cui rispondere e senza futuro da progettare, cambiare e ribaltare le proprie posizioni è questione di un attimo, pronti a cavalcare nuove onde. Ed è sotto gli occhi di tutti: i “no euro” di ieri si ripresentano alfieri del “signor euro” di oggi. Tutto ciò, nel cangiante arlecchinesco del trasformismo esibizionista, segnala l’enorme vuoto, culturale e politico di forze che facciano della coerenza una virtù e della sensatezza un vantaggio. Lasciato invece agli incoerenti, capaci di cavalcare ogni momentaneo estremismo.
Sperare nel senso di responsabilità di questa o quella componente politica, di questo o quel capetto passeggero non è molto sensato. Fanno la sola cosa che sanno fare. Più utile domandarsi il perché, da anni e in posti diversi e distanti, vengono premiati dal successo, benché transitorio: sono lo specchio di un mondo che, nel benessere, ha smarrito il senso della realtà. Recuperarlo senza che sia il dolore a imporlo sarebbe segno di saggezza.
Di Davide Giacalone
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