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presidente della repubblica 2022

Tempo perso

Il clima di assoluta incertezza che aleggia sull’elezione del Presidente della Repubblica mette a repentaglio i grandi risultati ottenuti dal governo Draghi. Una situazione molto delicata all’alba di un 2022 già intriso di instabilità.
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Il clima di assoluta incertezza che aleggia sull’elezione del Presidente della Repubblica mette a repentaglio i grandi risultati ottenuti dal governo Draghi. Una situazione molto delicata all’alba di un 2022 già intriso di instabilità.
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Il clima di assoluta incertezza che aleggia sull’elezione del Presidente della Repubblica mette a repentaglio i grandi risultati ottenuti dal governo Draghi. Una situazione molto delicata all’alba di un 2022 già intriso di instabilità.
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Il clima di assoluta incertezza che aleggia sull’elezione del Presidente della Repubblica mette a repentaglio i grandi risultati ottenuti dal governo Draghi. Una situazione molto delicata all’alba di un 2022 già intriso di instabilità.
Stiamo assistendo a un gioco potenzialmente molto pericoloso. Come scritto ieri, è da ingenui o – peggio – moralisti meravigliarsi delle trattative in corso fra i partiti, per arrivare a un’elezione condivisa del nuovo presidente della Repubblica. Lo ha qui sottolineato Davide Giacalone, ci si dovrebbe semmai lamentare che le trattative siano cominciate solo a votazioni già aperte. Il problema reale è che il grave ritardo accumulato, la mancanza di strategia, i nomi a caso (ieri siamo passati da rose di 5 a 3 in un paio d’ore, correndo il rischio di bruciarli tutti), il tempo perso a inseguire candidature improbabili senza avere un reale piano B hanno messo l’Italia in una posizione molto delicata. Non è esclusivamente in gioco il pur cruciale nome del nuovo capo dello Stato, mentre mettiamo a repentaglio l’insieme degli equilibri che hanno garantito il cambio di marcia al Paese nei mesi del governo Draghi. I partiti potrebbero causare un fatale cortocircuito fra Palazzo Chigi e Quirinale, proprio mentre l’Europa si trova a fare i conti con una serie di elementi di grande incertezza. Pensare di poter restarne immuni è più colpevole che ingenuo. Nessuna delle cause di instabilità che si annunciano per il 2022 può essere definita una sorpresa: dalla grave crisi geopolitica in Ucraina – con lo spettro di una guerra in territorio europeo (molto a Est, è vero, ma pur sempre nel continente che credeva di aver chiuso con carri armati e cecchini dopo la tragedia jugoslava) – al riaffacciarsi logico e inevitabile dei temi per noi delicatissimi del rialzo dei tassi e del dibattito sul patto di stabilità, l’Italia si trova al centro di quella che potrebbe trasformarsi nella tempesta perfetta. Non si tratta di fare gli uccelli del malaugurio o descrivere la realtà peggiore di quella che sia, ma di prepararsi a gestire mesi molto delicati. Pensare di farlo dilapidando in una manciata di giorni buona parte del credito accumulato in poco meno di un anno di buon governo, far finta di credere che gli occhi dei mercati e delle cancellerie dei nostri partner siano puntati sul Quirinale e non su Palazzo Chigi, significa prendersi in giro. Tutto in nome di una centralità che i partiti vogliono riconquistare a tutti i costi. Umanamente comprensibile, ma politicamente improponibile, vista la realtà con cui fare i conti. È del tutto evidente che per i leader e il Parlamento stesso sia insostenibile l’idea di un tecnico sul Colle più alto e di un altro a capo del governo, ma da qui a tagliar fuori Mario Draghi da entrambe le prospettive ce ne passa. Se lo stesso segretario del Partito democratico Enrico Letta non ha nascosto la paura di ‘perdere’ l’ex presidente della Bce in questi pericolosi equilibrismi, vuol dire che c’è la consapevolezza della lastra di ghiaccio su cui ci si sta muovendo. Colpisce e preoccupa, allora, che non ci si muova di conseguenza, rompendo gli indugi. È bene ribadire che le due ipotesi più logiche per mettere il Paese al riparo dall’insieme dei rischi appena elencati – Mario Draghi e la rielezione di Sergio Mattarella – avrebbero un senso politico sino allo scrutinio di oggi, ultimo a maggioranza qualificata dei due terzi. Apparirebbe gravido di pessime conseguenze pensare di eleggere Draghi con una maggioranza diversa da quella che sostiene il suo governo o, peggio ancora, tentare una conferma di Mattarella a maggioranza semplice. Invece, buona parte del mondo politico e degli osservatori continua guardare (e rinviare) a domani e dopodomani – giorni delle prime votazioni con il 50% più uno – facendo finta di non sapere che questo significherebbe molto probabilmente trovarsi a fine settimana con il governo virtualmente in crisi. A meno che le segreterie semplicemente si siano arrese alla consapevolezza di non controllare i gruppi parlamentari, ulteriore prova di un disfacimento senza ritorno. Comunque vada, difficile immaginare un peggior regalo di benvenuto al nuovo presidente della Repubblica. di Fulvio Giuliani

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