Il disastro afgano ha generato anche un effetto, se non positivo – fatichiamo a intravederne – almeno degno di essere sfruttato: un comune sentire dell’opinione pubblica occidentale. È di tutti, infatti, lo sconcerto, l’umiliazione, il dolore per quanto abbiamo dovuto vedere. L’obiettivo, ora, deve però essere quello di superare il senso di sbigottita impotenza. I governi che non vogliano accontentarsi solo di versare lacrime, più o meno sincere, dovrebbero saper intercettare questo sentimento.
Davanti alle scene apocalittiche dell’aeroporto di Kabul, l’Occidente non può pensare di rispondere negando i visti, perché questo significherebbe rinunciare del tutto ai propri princìpi e consegnarsi al tribunale della Storia. Corridoi umanitari vanno assicurati, dispiegando sul terreno aliquote di forze speciali, se necessario. Nessuno sta pensando di tornare a intervenire militarmente in modo massiccio, anche perché 20 anni fallimentari non si possono raddrizzare ricominciando a commettere gli stessi errori, ma questo è il momento di schierare il fronte interno dei Paesi almeno a favore di interventi mirati (anche se inevitabilmente limitati, rispetto alla tragedia che si sta consumando). Una prima pietra, su cui cominciare a ricostruire una politica occidentale, che obblighi i nuovi e vecchi padroni di Kabul a contenere la propria furia.
Per l’Unione europea è il momento di unire le forze di intelligence, in modo da ridurre, per quanto possibile, l’incubo di chi vuole fuggire dall’Afghanistan. Abbiamo obblighi morali, nei confronti di chi ha creduto in noi. Dobbiamo accogliere e distribuire, nell’Ue, evitando magari che i profughi più qualificati finiscano in Germania perché noi eravamo impegnati a far polemiche invece di accoglierli, come capitato nel caso della Siria.
Non sarà facile e indolore, come sempre quando si deve trattare con il nemico e accettare di schierare forze, seppur super specializzate, sul terreno. Lo abbiamo fatto per anni anche noi italiani, in Afghanistan come in Iraq, evitando accuratamente di dirlo. In ossequio a un’idea edulcorata di peacekeeping, secondo la quale si poteva controllare il territorio senza l’uso delle armi. Un’immagine disneyana, necessaria a tener buona una pubblica opinione avversa alla nostra presenza in territori di guerra. La stessa oggi indignata per l’indecorosa uscita di scena occidentale.
Ora che nessuno può far finta di nulla, è il momento di chiedere alla pubblica opinione di smetterla di strapparsi ipocritamente le vesti, aspettando che ricominci il campionato di calcio. Anche se dovremo sporcarci le mani.
di Fulvio Giuliani
Leggi anche Cosa ci insegna la caduta di Kabul di Ottavio Lavaggi
LA RAGIONE – LE ALI DELLA LIBERTA’ SCRL
Direttore editoriale Davide Giacalone
Direttore responsabile Fulvio Giuliani
Sede legale: via Senato, 6 - 20121 Milano (MI) PI, CF e N. iscrizione al Registro Imprese di Milano: 11605210969 Numero Rea: MI-2614229
Per informazioni scrivi a info@laragione.eu
Copyright © La Ragione - leAli alla libertà
Powered by Sernicola Labs Srl