Gianni Canova: “Perché in Italia non s’investe nell’animazione?”
Gianni Canova: “Perché in Italia non s’investe nell’animazione?”
Gianni Canova: “Perché in Italia non s’investe nell’animazione?”
“Se il cinema e più in generale le persone vogliono tornare a capire il mondo che li circonda, devono guardare i bambini e chi sa parlar loro». Sulla terrazza dell’Hotel Excelsior del Lido di Venezia, casa di novant’anni di Mostra, il critico più profondo e poetico del nostro cinema, Gianni Canova, non ha dubbi su quale sia una delle strade da percorrere. «Non riesco proprio a capire – s’interroga – perché il cinema italiano non investa sull’animazione. Noi abbiamo una scuola fantastica, possiamo vantare un maestro come Bruno Bozzetto, che per inciso non ha ricevuto neanche il Leone d’Oro alla carriera. Eppure il papà della Pixar, John Lasseter, disse di aver imparato tutto da lui... Qui a Venezia ci sono alcuni corti di Massi, cose raffinatissime in bianco e nero, ma io vorrei un film d’animazione in concorso. Non è mai successo».
A proposito della Pixar, ricordiamo “Inside Out” come esempio di coraggio, per aver osato portare sul grande schermo i sogni dei bambini, adattandoli a tutte le età. Un vero capolavoro. «Qui in Italia non c’è un’industria d’animazione degna di questo nome – continua Canova – eppure l’unico film in Italia boom d’incassi in agosto è stato “Minions 2”. In effetti, c’è della genialità in questi ‘tuberi’, nelle loro gag che riportano ai classici del cinema muto, a Stanlio e Ollio. Tutti i Minions sono doppiati da Pierre Coffin, con un linguaggio raffinatissimo fatto di una macedonia di lingue diverse. Poi, queste creature sono tutti maschi, come si riproducono? Continuo a chiedermelo… Sono operazioni interessantissime e da incassi record che ci obbligano a guardarle con grande attenzione anche se si rivolgono ai bambini e non a noi adulti e alla nostra stanca razionalità un po’ paracula. Prendiamo sul serio chi s’incarica di far sognare i bambini. Ma cosa c’è di più bello?!».
Arriva, così, un monito: «Dobbiamo imparare a raccontare il cinema, a leggerlo, a farlo amare nella sua profondità, nei suoi livelli e stratificazioni. Abbiamo scuola, tradizione, fantasia ma non abbiamo voglia di investire in un settore e il motivo è semplice: per certa cultura, per un certo tipo di intellighenzia, rivolgersi ai bambini o comunque al pubblico giovane significa fare qualcosa di serie B». E qui emerge il rettore dell’Università Iulm di Milano – non a caso scelta da “La Ragione” per il suo programma di borse di studio su base esclusivamente meritocratica che fra poche settimane verranno assegnate nel primo ciclo – che fa della formazione la vera grande sfida dell’intero Paese: «Se non usciremo da queste concezioni sempre uguali, che dividono il mondo, la cultura, le persone e ovviamente anche il cinema in vari livelli incomunicabili fra di loro, non terremo il passo del resto del mondo».
Gianni Canova invita a riflettere su quanto sia pericoloso un universo fatto di persone che rifiutino il valore dell’empatia, dell’emozione in quanto tale e anche della commozione. I ragionamenti scivolano con naturalezza sul cinema di Christopher Nolan, autore della “Trilogia del cavaliere oscuro”, di “Inception” e di “Interstellar”, il film che indaga in modo crudo ma tenerissimo il rapporto padre-figlia: «Verissimo» commenta. «Nolan è uno dei grandi geni del cinema contemporaneo ed è uno di quelli che prosegue sulla linea di Hitchcock o Kubrick. Ha capacità di coniugare il grande spettacolo con la riflessione spirituale. Ma se il cinema è stato il cinema è perché c’è stato qualcuno che è riuscito a chiudere la cerniera della doppia anima, della contraddizione di essere al tempo stesso un’industria e un’arte. Come fai a mettere d’accordo l’estetica e l’economia? Solo alcuni grandi geni, di cui Nolan fa parte, sono riusciti a coniugare l’idea dello spettacolo con il grande cinema d’intensità filosofica, morale e spirituale».
In “Interstellar”, quando la figlia vede cadere i volumi dalla libreria e alla fine del film capisci quanto tutto fosse legato al papà, ci si commuove. Perché il cinema è racconto, interpretazione, poesia, dolcezza, durezza, carezza, pugno, follia, sogno. Più di ogni altra cosa, è emozione. Se la si nega, non c’è più cinema.
di Marco SallustroLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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