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camici bianchi

La fuga dei camici bianchi italiani (anche in Arabia Saudita)

Mancano sempre più medici all’appello e quelli che ci sono rischiano di lasciare il Belpaese, attratti da offerte migliori: dalla Svizzera all’Arabia Saudita
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La fuga dei camici bianchi italiani (anche in Arabia Saudita)

Mancano sempre più medici all’appello e quelli che ci sono rischiano di lasciare il Belpaese, attratti da offerte migliori: dalla Svizzera all’Arabia Saudita
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La fuga dei camici bianchi italiani (anche in Arabia Saudita)

Mancano sempre più medici all’appello e quelli che ci sono rischiano di lasciare il Belpaese, attratti da offerte migliori: dalla Svizzera all’Arabia Saudita
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Mancano sempre più medici all’appello e quelli che ci sono rischiano di lasciare il Belpaese, attratti da offerte migliori: dalla Svizzera all’Arabia Saudita
È un paradosso: di medici c’è bisogno e ce ne sarà ancora di più nei prossimi anni, fra pensionamenti e scarso turn over. Eppure i camici bianchi italiani sono sempre più tentati di lasciare il Belpaese alla ricerca di condizioni lavorative (e compensi) migliori. Insomma, alla ‘fuga di cervelli’ si aggiunge quella dei professionisti della sanità. «A pesare è certamente la condizione economica in cui si trovano i nostri professionisti sanitari, che sicuramente non è paragonabile a quella di altri Stati europei e non. Ma c’è anche una grave criticità organizzativa nei contesti nei quali lavora il personale italiano» conferma Teresa Calandra, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei TSRM e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione (FNO TSRM e PSTRP) che comprende tecnici di radiologia medica, assistenti sanitari, logopedisti, igienisti dentali, ortottisti, ma anche esperti della riabilitazione e della sicurezza nei luoghi di lavoro. In questi giorni tengono banco da un lato l’annunciato sciopero del personale sanitario (gli infermieri scenderanno in piazza già domani in occasione dello sciopero generale del pubblico impiego, i medici pensano a un’agitazione ad hoc il 5 dicembre), dall’altro il piano saudita per l’assunzione di 44mila medici e 88mila infermieri entro il 2030. Secondo l’agenzia “Agi”, da maggio del 2022 già 1.650 italiani hanno fatto le valigie per Riad e dintorni. Di questi 800 sono medici specialisti, 600 sono infermieri e 250 sono fisioterapisti e osteopati; nell’80% dei casi si tratta di personale che lavorava per il Servizio sanitario nazionale. Ad attrarre questi lavoratori sono stati, come prevedibile, stipendi più alti che partono da 3.400 euro e possono arrivare a 5mila euro. A chi si trasferisce sono offerti anche alloggio e trasporti (compresi due voli all’anno per tornare in Italia), scuole in caso di professionisti con la famiglia e i figli al seguito, ma anche benefit come l’accesso a piscine e centri sportivi oltre naturalmente all’assistenza medica. Difficile dire di no, specie se si pensa anche ai livelli di stress del lavoro in Italia. «L’offerta è senza dubbio attrattiva, ma non dimentichiamo che da noi manca la valorizzazione che questi professionisti ricevono all’estero. I nostri sanitari sono competenti, escono da un percorso di studi universitari che li formano adeguatamente. Il fatto che siano fortemente richiesti all’estero ne è una dimostrazione e la loro decisione di partire purtroppo conferma anche che cercano un riconoscimento che spesso in Italia manca» aggiunge Calandra. Ad allettare i camici bianchi, però, non è soltanto l’offerta di Riad. In molti semplicemente varcano il confine per lavorare, ad esempio, in Svizzera: «In moltissimi Paesi europei l’organizzazione e la retribuzione sono migliori. Quello che deve far riflettere è che a lasciare il Paese sono soprattutto i giovani, che rappresentano il futuro del nostro Servizio sanitario nazionale. Questo è un grosso problema» osserva Calandra. Ora il personale sanitario è in agitazione per la riforma delle pensioni che, secondo i sindacati, penalizzerebbe ulteriormente la categoria. Ma non va meglio se si pensa ai giovani: si chiede la fine del numero chiuso nell’università o nelle scuole di specializzazione, anche se il vero problema riguarda l’offerta di una formazione idonea che in caso di apertura a un numero eccessivo di studenti non sarebbe possibile. Pesano anche i ritmi frenetici di lavoro (basti pensare ai Pronto soccorso) e appunto le retribuzioni inferiori rispetto alla media europea, che non attraggono i giovani. Problemi non da poco visto che, solo limitandosi ai medici di base, già oggi ne mancano poco meno di 3mila. di Eleonora Lorusso

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