Il direttore generale dell’Oms ha giustamente parlato di un «momento storico». E l’approvazione del primo vaccino contro la malaria lo è, indiscutibilmente. Anche solo considerando i numeri: solo in Africa nel 2019 questa malattia ha ucciso oltre 260mila bambini. E il vaccino, da somministrare in quattro dosi a partire dai cinque mesi di vita, potrebbe prevenire oltre 2 milioni di casi e 23mila morti l’anno sotto i cinque anni di età.
Anche se l’efficacia non è elevatissima: secondo i risultati del programma pilota realizzato su più di 800mila bambini, si attesta intorno al 50% contro la malattia severa nel primo anno, percentuale che sale al 70% se somministrato insieme agli antimalarici. Ma non c’è dubbio alcuno che sia un momento da festeggiare, un punto di svolta e di speranza soprattutto per i Paesi africani: qui nel 2020 è stato registrato il 94% dei 220 milioni di casi. I morti sono stati 409mila solo lo scorso anno.
Numeri impressionanti, che sembrano lontani anni luce da noi, ma il modo in cui giustamente questo vaccino è stato festeggiato dovrebbe farci ragionare. Perché siamo parecchio al di sotto di quell’efficacia superiore al 90% dei vaccini contro il Covid. Che invece per mesi sono stati messi sotto accusa. Del vaccino contro la malaria nessuno si chiede cosa contenga, perché è evidente che i benefici sono estremamente superiori ai rischi. Ma lo stesso, ricordiamocelo quando festeggiamo questo ennesimo passo della medicina, vale per quelli contro il Coronavirus.
di Mery Gelmi
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