Ho una brutta sensazione e mi autodenuncio: a un certo punto, ieri sera, ho cercato disperatamente Blanco. Un’esagerazione, per carità… diciamo almeno qualcuno che potesse fare/dire qualcosa, scuotere una serata piatta e noiosa. Un paradosso, nulla più, utile a ricordare che non è vietato cercare di salire di qualità, di creare momenti “coraggiosi”, pur senza ricorrere allo spettacolo per lo spettacolo o alla caciara.
Avremmo bisogno di uno, dieci, cento Benigni (che ovviamente non esistono) e di molti meno esaltati da una popolarità effimera e sfuggente. Perché accontentarsi a Sanremo non si può: è lo scotto da pagare a uno show che tracima in ogni dove e non può fare il compitino.
Pena far annoiare, come ieri sera. Con una bella eccezione: il monologo, poi duetto, dedicato alla repressione sanguinaria del regime iraniano. La giovane Pegah Moshir Pour e Drusilla Foer hanno saputo osare e ricordare, in scia alle parole di Roberto Benigni, il valore incommensurabile delle libertà costituzionalmente garantite nel nostro Paese.
A partire da quelle più semplici, orrendamente violentate in un Paese magnifico e prostrato come l’Iran. IL momento della serata.
Il giorno dopo Chiara Ferragni (divertente come oggi si comincino a leggere in giro le riflessioni che provavamo a fare ieri su temi e parole scelti da una donna troppo popolare per non generare diffidenza), la presenza di Francesca Fagnani ha fatto rimpiangere l’assenza della star dei social. Non basta arrivare spinti da una battage assordante e un po’ presuntuoso – la Rai che “lancia“ se stessa nelle mille fiction e anche nel suo programma – per lasciare un segno. Il monologo sui detenuti nel carcere minorile napoletano di Nisida è apprezzabile di default, animato dalle migliori intenzioni, ma non ha emozionato, non ha trasmesso un decimo delle emozioni dell’amatissima serie “Mare Fuori“.
Nota di merito a Fedez, che non abbiamo mai mancato di criticare quando ha straparlato o strariso: ha saputo premettere proprio questi errori (gravi), prima di lanciarsi in una dura critica al viceministro Galeazzo Bignami travestito da nazista. Soprattutto ci ha messo la faccia, assumendosi pubblicamente la responsabilità di quanto rappato e strappato sollevando da eventuali problemi “politici” Amadeus e soci.
Che si senta l’esigenza di farlo, peraltro, ci lascia perplessi di suo (chi può aver paura di Fedez?!), ma il Sanremo-arena politica non è certo un’invenzione del 2023 o degli attacchi salviniani di ieri.
di Fulvio Giuliani
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