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“One Love”, il biopic dedicato a Bob Marley

“One Love”, il biopic dedicato a Bob Marley, diretto da Reinaldo Marcus Green e con Kingsley Ben-Adir nel ruolo del profeta del reggae, è uscito ieri nelle sale
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“One Love”, il biopic dedicato a Bob Marley

“One Love”, il biopic dedicato a Bob Marley, diretto da Reinaldo Marcus Green e con Kingsley Ben-Adir nel ruolo del profeta del reggae, è uscito ieri nelle sale
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“One Love”, il biopic dedicato a Bob Marley

“One Love”, il biopic dedicato a Bob Marley, diretto da Reinaldo Marcus Green e con Kingsley Ben-Adir nel ruolo del profeta del reggae, è uscito ieri nelle sale
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“One Love”, il biopic dedicato a Bob Marley, diretto da Reinaldo Marcus Green e con Kingsley Ben-Adir nel ruolo del profeta del reggae, è uscito ieri nelle sale
“One Love”, il biopic dedicato a Bob Marley, diretto da Reinaldo Marcus Green e con Kingsley Ben-Adir nel ruolo del profeta del reggae, è uscito ieri nelle sale. La pellicola si concentra in particolare su due anni della vita del cantautore. Si parte dal 3 dicembre 1976, quando sette uomini armati fecero irruzione nella casa di Marley cercando di assassinare lui, sua moglie Rita, il manager Don Taylor e l’assistente Louis Griffiths. Alla base del gesto vi era la decisione dell’artista giamaicano di esibirsi sul palco dello “Smile Jamaica Concert”, un evento fortemente voluto dall’allora primo ministro Michael Manley. Dietro il tentativo di omicidio sembra vi fosse il Jamaican Labour Party di Edward Seaga, unico avversario di Manley alle elezioni. La colpa di Bob era quella di aver accettato di partecipare al concerto, facendo così un endorsement indiretto al governo in carica. Marley lascerà così la Giamaica per rifugiarsi a Londra, dove la comunità caraibica era numerosa e ben inserita nel tessuto sociale.

Da quell’esperienza nascerà “Exodus” (uno dei capolavori della sua discografia con alcuni classici per antonomasia) la cui canzone manifesto diverrà proprio “One Love”, quella che dà il titolo al film. All’epoca il musicista aveva pienamente compreso il suo ruolo politico, maturando la decisione di veicolare ancora di più il proprio pensiero tramite la sua arte. Un po’ come aveva fatto il suo ex compagno Peter Tosh, che aveva abbracciato la strada della denuncia sociale attraverso la musica, con la conseguenza di finire arrestato dalla polizia giamaicana. Proprio la figura di Tosh è – assieme a quella di Bunny Wailer – una delle grandi assenti nel lungometraggio. I tre avevano mosso insieme i loro primi passi nel gruppo The Wailers, poi il capo della Island Records Chris Blackwell aveva capito che il carisma di Marley andava sfruttato al meglio e lo aveva spinto verso la carriera da solista.

Quel che il film esalta è invece la profonda fede di Bob e il ruolo che questa ha assunto nella sua interpretazione del mondo. Convinto rastafariano, il musicista aveva sposato in pieno il credo che venerava la figura dell’imperatore etiope Hailé Selassié I e che predicava l’elevazione dell’essere umano sopra ogni cosa. Un tema che sarà sempre al centro dei testi del cantante. E proprio la sua fede sarà indirettamente una delle cause della sua morte. Quando gli verrà diagnosticata una rara forma di tumore (manifestatasi tramite una ferita all’alluce che non si cicatrizzava) i medici consiglieranno a Marley di sottoporsi a un intervento di amputazione del dito del piede. Lui rifiuterà perché la sua religione impediva ai credenti di «tagliare la propria carne». Sarà questa la causa che lo porterà alla morte nel 1981, a soli 36 anni.

Prima però farà in tempo a entrare anche nella storia del nostro Paese, grazie al concerto del 27 giugno 1980 allo Stadio di San Siro: segnerà un’epoca e darà il via alla grande stagione di concerti negli stadi italiani, che proseguirà per tutti gli anni Ottanta arrivando sino a oggi. Di quell’evento nel film non vi è traccia, dato che la vicenda raccontata sullo schermo termina nel 1978. Ma per noi è sufficiente conservare nella memoria quella notte «da centomila fiammelle», come la descrive Antonello Venditti in “Piero e Cinzia”. Sperando che le parole di quest’uomo che cantava di pace, resistenza e amore continuino a risuonare dentro di noi il più a lungo possibile.

di Stefano Faina e Silvio Napolitano

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