40 anni fa la strage dell’Heysel
40 anni fa la strage allo Stadio Heysel di Bruxelles in occasione della finale di Coppa dei Campioni fra Juventus e Liverpool

40 anni fa la strage dell’Heysel
40 anni fa la strage allo Stadio Heysel di Bruxelles in occasione della finale di Coppa dei Campioni fra Juventus e Liverpool
40 anni fa la strage dell’Heysel
40 anni fa la strage allo Stadio Heysel di Bruxelles in occasione della finale di Coppa dei Campioni fra Juventus e Liverpool
Quarant’anni fa la strage allo Stadio Heysel di Bruxelles in occasione della finale di Coppa dei Campioni fra Juventus e Liverpool. Trentanove vittime tra gli italiani che affollavano il settore Z dello stadio e 600 feriti. “Strage” e non “tragedia”. “Strage”, perché questo termine implica colpe e responsabilità gravissime che sono purtroppo in gran parte rimaste impunite. Colpe e responsabilità degli assassini materiali, gli hooligans del Liverpool. Dell’Uefa, che scelse uno stadio di cemento marcio. E delle autorità belghe, che sottovalutarono la pericolosità dell’evento e schierarono forze esigue e totalmente impreparate.
Sono passati quarant’anni da quella notte. Ma il tempo è materia talvolta soggettiva e per molti di coloro che – come me – erano lì quella sera, il 29 maggio 1985, sembra ieri. Tante le parole sbagliate in questi quattro decenni. Troppe le parole mancanti. Oggi mi chiedo se davvero tutti abbiamo fatto il possibile per custodire la memoria dell’Heysel. Per stimolare il rispetto per chi perse la vita e per i loro famigliari.
Negli stadi si sono percorse davvero tutte le strade possibili per migliorare la sicurezza? E, culturalmente, si è lavorato abbastanza per far comprendere alle nuove generazioni cosa sia davvero lo sport, quali siano i suoi valori, le sue finalità, la sua infinita bellezza? Radio, tv e giornali sono riusciti a proteggere e a rispettare le verità dell’Heysel? E il web, i social media, YouTube hanno raccontato cosa accadde davvero? Si sono fatti promotori di memoria? Oppure la storia dell’Heysel è stata ferita e manomessa dalla velocità e dalla superficialità che talvolta si fanno complici del racconto digitale? O invece alla fine hanno prevalso letture di comodo e strumentalizzazioni?
Non c’è un’unica risposta a questi interrogativi, ce ne sono molte. La sensazione è che in tanti ancora oggi, specialmente tra le nuove generazioni, non abbiano compreso appieno la portata di quell’evento. Ed è per questo che abbiamo provato a sciogliere nell’inchiostro di un libro – “Quella notte all’Heysel” (Sperling & Kupfer) – il ‘diario’ di quelle ore, e realizzato un podcast con Mondadori Studios (“Dentro l’Heysel”) per provare attraverso voci e suoni a trascinare all’interno di quell’impianto fatiscente coloro che di Heysel oggi sanno ancora poco e volessero capirne di più. Nella speranza che anche questi lavori possano costituire anticorpi contro la perdita di memoria collettiva.
Ma la memoria è un fronte complesso. Difficile da difendere nella sua integrità e nel suo valore. Chissà, dev’essere un vizio maledettamente umano quello della propensione all’oblio. Una specie di basso istinto, malsano e contagioso. Scelto magari per autodifesa, come anestesia contro il dolore. O magari per vigliaccheria. Mille pensieri e immagini affollano la mia testa, il mio cuore, in queste ore nelle quali i riflettori si riaccendono su quella notte. Per poi magari richiudersi per chissà quanto. Quei lunghissimi minuti pieni di niente all’Heysel, senza avere notizie. Le prime voci sui morti. Quel precipitare in un tempo sospeso. Il dolore, lo stupore, la rabbia. E poi l’incredulità del giorno dopo, quando tornai all’Heysel per deporre un mazzo di fiori e rischiai l’arresto. Quei mille oggetti per terra, sulle gradinate, che disegnavano una Sindone sul cemento marcio. Mille oggetti, scarpe e sciarpe che sembravano ancora gridare.
Facciamo manutenzione della memoria dell’Heysel. Preserviamo il ricordo di quelle vite interrotte. Ricordiamo i loro nomi, le loro storie personali. Perché senza memoria saremmo luci spente.
di Emilio Targia
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Tag: calcio
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