«La mia barba era una sua ossessione. Voleva a ogni costo che la tagliassi. Ogni estate a Milanello dovevo rifare il santino almeno 10-15 volte, la mia foto non gli piaceva mai» ricorda emozionato Rino Gattuso, una delle colonne del Milan che ha portato in bacheca un paio di Champions League e molti altri trofei. Il suo legame con Berlusconi non ha mai vacillato. «È un immortale, una figura storica che i nostri figli e nipoti studieranno a scuola. Nella mia vita, in campo e fuori, non ho mai abbassato lo sguardo verso nessuno tranne che con lui. Dovevi starlo a sentire per forza, il suo carisma era travolgente».
L’ex numero 8 della mediana rossonera spiega in pochi concetti quale fosse la mentalità su cui costruì la grandezza del Milan: «Chiedete ai campioni che mi hanno preceduto a Milanello, da Paolo Maldini a Costacurta… Disse che sarebbe diventata la squadra più forte e bella al mondo quando i calciatori non avevano neppure le divise per allenarsi perché il Milan veniva dal fallimento. Ha sviluppato un senso di appartenenza unico, un’organizzazione capillare che faceva rendere al meglio. Per qualsiasi problema personale lui c’era, aiutava tutti, era perennemente presente, non gli bastava una giornata di 24 ore». La sua richiesta in cambio? «Non dovevamo solo vincere ma dominare, giocare bene o almeno sempre meglio degli avversari, avere il possesso palla, generare bellezza» spiega Gattuso. «Il suo metodo è stato vincente, lasciando una traccia indelebile».
di Nicola Sellitti
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