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Il ‘cucchiaio’ di Panenka che diventò leggenda

Finale degli Europei di calcio del 20 giugno 1976 a Belgrado: Antonín Panenka fa un rigore dei suoi e diventa subito leggenda

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Il ‘cucchiaio’ di Panenka che diventò leggenda

Finale degli Europei di calcio del 20 giugno 1976 a Belgrado: Antonín Panenka fa un rigore dei suoi e diventa subito leggenda

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Il ‘cucchiaio’ di Panenka che diventò leggenda

Finale degli Europei di calcio del 20 giugno 1976 a Belgrado: Antonín Panenka fa un rigore dei suoi e diventa subito leggenda

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Finale degli Europei di calcio del 20 giugno 1976 a Belgrado: Antonín Panenka fa un rigore dei suoi e diventa subito leggenda

La finale degli Europei di calcio del 20 giugno 1976 va in scena a Belgrado, nello stadio della Stella Rossa. Da un lato c’è la Germania Ovest, campione d’Europa e del mondo uscente. Dall’altra la Cecoslovacchia allenata da Václav Ježek, rivelazione del torneo. Cervello di quella squadra è un centrocampista del Bohemians Praga di nome Antonín Panenka.

Segni particolari: folti baffi, grande estro, innata pigrizia, fede incrollabile nel ‘socialismo dal volto umano’ di Dubcek. In più è un assiduo fumatore di sigarette Viktor e consuma birra in quantità sicuramente improprie, quanto meno per un atleta professionista. Ha raggiunto tardi il palcoscenico continentale, ma una volta indossata la maglia rossa della sua Nazionale non l’ha tolta più. Tuttavia, al di qua della Cortina di ferro, non lo conosce nessuno.

In quegli anni il blocco sovietico è impenetrabile e delle gesta di Panenka non si sa nulla. Ad esempio non è noto che il centrocampista ha una certa propensione ai gesti tecnici non convenzionali. Come quando calcia i rigori: lo fa colpendo il pallone sotto, così da disegnare una parabola arcuata che, lentamente e in modo beffardo, si infila alle spalle del portiere già proteso in tuffo, a cui non resta altro che guardare la sfera infilarsi in rete. Con i suoi compagni del Bohemians è solito scommettere ogni volta che calcia un penalty in questo modo: in palio una cena a base di salsicce e boccali di Pilsner. E vince sempre lui.

Ma in quella notte del 1976, mentre è in campo con la sua Cecoslovacchia, Panenka pensa ad altro. Ad esempio, dopo 25 minuti e con gli uomini di Ježek già in vantaggio per 2-0, ragiona su come arginare la controffensiva tedesca. La quale però è imponente e si materializza prima grazie a un gol di Dieter Müller e poi con la rete di Hölzenbein allo scadere.

Fino a quell’edizione, da regolamento, in caso di parità la finale veniva ripetuta. Ma l’Uefa ha deciso che da allora in poi sarebbero stati prima i tempi supplementari e poi i calci di rigore a decretare il vincitore degli Europei. Si va così all’extra time, ma il risultato non si sblocca. Dunque non resta che affidarsi ai penalty. Per i cechi segnano tutti e quattro i rigoristi designati, per la Germania anche. Poi per i tedeschi va sul dischetto Hoeness. Ha disputato una partita monumentale, ma è stanchissimo. E infatti la sfera finisce oltre la traversa. Tocca quindi a Panenka, ultimo tiratore dei suoi.

Mentre sta per incamminarsi verso gli undici metri, i compagni cercano di dissuaderlo dal calciare alla sua maniera, ma il tecnico Ježek lo esorta a fare ciò che sente. Il baffuto centrocampista in maglia rossa prende la rincorsa, colpisce il cuoio e la magia si mostra agli occhi dell’Europa intera: il pallone si solleva e, con una lentezza irridente, ridiscende alle spalle dell’incredulo portiere teutonico Sepp Maier. Grazie a quelgesto tecnicamente inusuale (che verrà ribattezzato appunto ‘il Panenka’), la Cecoslovacchia fa la Storia, laureandosi per la prima e unica volta campione d’Europa.

Il fantasista del Bohemians entra nella leggenda. Negli anni successivi molti altri lo imiteranno, dando a quel modo di calciare un’aura di estro, lucida follia e fiducia nelle proprie capacità, tipiche dei grandi. Come nel caso di Totti e Pirlo (per restare alle nostre latitudini) che lo hanno riproposto proprio in due edizioni degli Europei. Ma il padre di quel gesto sarà sempre e soltanto uno: l’uomo venuto da Praga che, con la propria sregolatezza, mostrò a un intero Continente il vero volto del genio. E del coraggio.

di Stefano Faina e Silvio Napolitano

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