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La Roma e Roma che guardano indietro

I Friedkin hanno scelto Claudio Ranieri come terzo allenatore di una stagione disgraziata. Qui non siamo all’usato sicuro, siamo alla scelta identitaria vera e propria

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La Roma e Roma che guardano indietro

I Friedkin hanno scelto Claudio Ranieri come terzo allenatore di una stagione disgraziata. Qui non siamo all’usato sicuro, siamo alla scelta identitaria vera e propria

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La Roma e Roma che guardano indietro

I Friedkin hanno scelto Claudio Ranieri come terzo allenatore di una stagione disgraziata. Qui non siamo all’usato sicuro, siamo alla scelta identitaria vera e propria

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I Friedkin hanno scelto Claudio Ranieri come terzo allenatore di una stagione disgraziata. Qui non siamo all’usato sicuro, siamo alla scelta identitaria vera e propria

Voglio scrivere di Roma e visione di futuro, approfittando del calcio. Perché il pallone e la Roma (la Magica) in modo specifico costituiscono un discreto pezzo del sentimento capitolino più popolare e utile a descrivere l’anima della città. Non è un’esagerazione.

Gli americanissimi Friedkin, dunque, avrebbero scelto il romanissimo Claudio Ranieri come terzo allenatore di una stagione disgraziata, dopo il naufragio dell’operazione De Rossi e la scelta cervellotica di Jurić. Qui non siamo all’usato sicuro, siamo alla scelta identitaria vera e propria. L’allenatore di Testaccio, il Romano de Roma, il romanista sempre e comunque e via andare con una sequela di luoghi comuni anche romantici e assolutamente apprezzabili, ma pur sempre legati a un’immagine pericolosamente olografica.

Vogliamo essere ben chiari: Claudio Ranieri è uno dei veri signori del calcio a livello globale, un tecnico apprezzatissimo, di rare capacità gestionali e in grado di lasciare – cosa tutt’altro che scontata – praticamente ovunque uno splendido ricordo di sé. Detto questo e proprio per la grande ammirazione che proviamo nei suoi confronti, l’annuncio del ritiro solo di pochi mesi fa sembrava una decisione irrevocabile.

Per farlo tornare sui suoi passi, la proprietà ha puntato proprio sui sentimenti di appartenenza e immortale “romanità“. Romantico, ci ripetiamo, ma certo lontano da quegli schemi che ci si aspetterebbe dagli americani e un po’ pomposamente propagandati dagli stessi Friedkin.

Appena 48 ore fa ci favoleggiavano di “casting“ (una delle più grosse sciocchezze in materia di scelte di allenatori, copiata pari pari da Aurelio De Laurentiis, che almeno ha fatto cinema e può ricorrere a una certa terminologia), affidata un’agenzia che avrebbe dovuto individuare il profilo più adatto. Risultato… si richiama il “Core de Roma”. Guardando all’indietro e che a farlo sia un italiano o un americano cambia poco.

La sensazione è che a Roma lo si faccia per istinto. Pensate al simbolo non solo di una squadra, ma di fatto di una città come Francesco Totti: sono passati 10 anni dal ritiro e da quell’incredibile festa d’addio, ma per certi aspetti il capitano sembra rimasto lì, incapace di uscire sia dal personaggio sia dal terreno di gioco. Scherzando, si è detto pronto a tornare in campo a 48 anni suonati.

Scherzando, ma non troppo, perché si ha la netta sensazione che anche lui ritrovi vitalità e senso guardando indietro.

Tutto questo ha anche degli aspetti profondamente romantici (ci risiamo), ma descrive una città, un animo abituati a guardarsi indietro o la punta delle scarpe. C’è una storia impareggiabile e semplicemente unica – questo è ovvio – ma anche una sorta di assuefazione all’idea che sia sempre e solo nel passato che si possa trovare il meglio. Il che è già un problema per una squadra di calcio, figurarsi una città.

di Fulvio Giuliani

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