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Matteo Berrettini e l’ignoranza sportiva italiana

Matteo Berrettini e l’ignoranza sportiva italiana

Matteo Berrettini è un campione qualunque sarà il risultato contro Alcaraz. Abbiamo scritto e scriveremo ancora di noi e dell’ignoranza sportiva italiana
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Matteo Berrettini e l’ignoranza sportiva italiana

Matteo Berrettini è un campione qualunque sarà il risultato contro Alcaraz. Abbiamo scritto e scriveremo ancora di noi e dell’ignoranza sportiva italiana
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Matteo Berrettini e l’ignoranza sportiva italiana

Matteo Berrettini è un campione qualunque sarà il risultato contro Alcaraz. Abbiamo scritto e scriveremo ancora di noi e dell’ignoranza sportiva italiana
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Matteo Berrettini è un campione qualunque sarà il risultato contro Alcaraz. Abbiamo scritto e scriveremo ancora di noi e dell’ignoranza sportiva italiana
Matteo Berrettini è un campione e i campioni sono organismi delicati. Vivono di equilibri sottili, sospesi per anni fra la continua necessità di conferme e il baratro. Perché chi taglia traguardi impensabili e raggiunge vette neppure sognate da ragazzo sa nel proprio intimo che la precarietà della fama e della gloria lo accompagnerà per sempre.
È il destino di chi viene chiamato a ripetersi ai massimi livelli ogni giorno della propria vita professionale. Un fardello che solo i veri campioni riescono a portare, non i protagonisti di avventure anche esaltanti, ma circoscritte nel tempo. Si può lasciare una traccia profonda ballando per una notte sola, ma resta tutta un’altra storia. Matteo Berrettini ha inanellato una serie di risultati, nei due migliori anni della sua carriera, che lo hanno proiettato di diritto nel ristrettissimo (purtroppo) club dei tennisti italiani in grado di lasciare un’impronta profonda a livello mondiale. Non staremo qui a ricordare i traguardi storici e il ranking toccato, piuttosto la glaciale e incompetente indifferenza con cui molti di quelli che avevano suonato le trombe per lui lo hanno poi abbandonato e massacrato mediaticamente, quando una serie di infortuni e contrattempi subdoli lo ha messo fuori gioco per un’intera stagione.
Il finalista di Wimbledon – una cosa non solo mai vista, ma neppure pensata per un tennista azzurro negli ultimi 40 anni – è stato archiviato, ammiccando alla sua storia d’amore con una ragazza troppo televisiva e social per non scatenare tutti i luoghi comuni più stanchi sul campione inciampato nella “Femme fatale”. Sull’atleta che trascura gli obblighi professionali, distratto dai luccichii del glamour. Restiamo, purtroppo, un Paese che di sport sa pochissimo: crediamo di sapere quasi tutto di calcio, ma in realtà scambiamo le degenerazioni più insopportabili del pallone per competenza e cultura sportiva. C’è un pezzo d’Italia – anche di giornalismo italiano – che non riesce a distinguere fra i calciatori in vacanza a Ibiza e gli sportivi che rendono onore al nostro Paese in ogni angolo del mondo e in una serie di discipline che neppure conoscono. Negli sport come il tennis e lo sci, in cui l’atleta è solo e il campione è solissimo, correre sul carro del vincitore è sport pari solo a quello di tirare un bel calcio nel sedere allo stesso idolo alla prima difficoltà. Di lui abbiamo scritto molto su La Ragione nei passaggi più difficili di questi due anni, cercando di immaginare, capire e soprattutto sostenere. Lo facciamo oggi con soddisfazione sincera, alla vigilia di un ottavo di finale a Wimbledon contro il numero uno al mondo. Vinca o perda contro il fenomeno-Alcaraz, resta una grande storia da continuare a osservare, sostenere e raccontare. In onore di chi mette in gioco tutto se stesso. Sempre.
Quanto agli altri, si incantino pure per l’ultimo trucco contabile di qualche sceicco convinto di potersi comprare insieme al pallone anche l’anima dei tifosi. di Fulvio Giuliani

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