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Quando Spam era solo carne in scatola

Spam, quelle fastidiose email nate dall’intuito dello statunitense Thuerk, devono il loro nome ad una celebre scena della serie televisiva inglese “Monty Python’s Flying Circus” .
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Gary Thuerk. Un nome che ai più probabilmente non dice nulla. Eppure ogni giorno quasi tutti noi gli dedichiamo almeno quindici minuti del nostro tempo e decine di epiteti non proprio cordiali. Già, perché se la nostra casella di posta elettronica è intasata di messaggi invadenti e indesiderati lo si deve proprio all’intuito dello statunitense Thuerk. Alle ore 12,33 del 3 maggio 1978 inviò a 393 destinatari della rete di Arpanet un messaggio che pubblicizzava l’uscita di un nuovo computer della Digital Equipment Corporation, l’azienda per cui lavorava. Anziché inviare un messaggio personalizzato, fece scrivere a un assistente una singola e-mail di massa, ottenendo così la massima diffusione con il minimo sforzo. E, soprattutto, razionalizzando il tempo di lavoro da destinare alla scrittura e all’invio della comunicazione commerciale.

L’innovativa strategia di marketing diede qualche frutto, facendo vendere qualche computer; la reazione complessiva fu però di enorme fastidio per quello che veniva avvertito come un gesto molesto e invadente, alla pari di un venditore porta a porta che entra di prepotenza nelle case senza suonare il campanello. L’avvento di Internet negli anni Novanta e la proliferazione degli indirizzi di posta elettronica hanno fatto il resto: le statistiche dicono che sette messaggi su dieci sono costituiti da junk-mail (posta spazzatura), la maggioranza dei quali proviene da Cina, Stati Uniti e Corea del Sud; in Europa primeggiano la Russia e la Germania.

Vista l’esplosione della modalità di marketing invasivo, nella primavera del 1993 venne coniato un apposito neologismo: spam. L’ideatore fu Richard Depew, moderatore di una comunità telematica che per un bug del software postò duecento messaggi, tutti uguali, uno di fila all’altro. Pensando al fastidio procurato agli altri utenti, ricordò una celebre scena della serie televisiva inglese “Monty Python’s Flying Circus” in cui una coppia si trova a pranzare in un bar accanto a un surreale gruppo di vichinghi. Alla richiesta di conoscere il menù, la cameriera snocciola un elenco di piatti, tutti caratterizzati da un ingrediente comune: la carne in scatola Spam, contrazione di spiced-ham, che letteralmente significa “prosciutto speziato”. Mentre la cameriera insiste con le proposte («uova e Spam, salsicce e Spam, pancetta e Spam») e cresce la riluttanza dei due malcapitati, monta l’ilarità dei vichinghi seduti nel locale che iniziano a intonare in coro una fastidiosissima e ripetitiva cantilena: spam, spam, spam, spam. L’episodio traeva ispirazione proprio dalla vera campagna pubblicitaria ideata dall’azienda produttrice di quella carne in scatola, che da mesi andava in onda ripetutamente su tutti i canali televisivi inglesi.

L’Italia è stata tra i primi Paesi a dotarsi di una norma anti-spam: dal 2003 costituisce reato inviare e-mail pubblicitarie e a fini di profitto senza il consenso preventivo del destinatario. Pugno duro in caso di violazione: fino a 90mila euro di sanzione e reclusione da sei mesi a tre anni.

di Stefano Caliciuri

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