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Scoperto su Telegram l’algoritmo che innesca crimini e odio

Secondo uno studio Telegram, catalizzatore di rivolte sociali, teorie del complotto e reti terroristiche, promuoverebbe sistematicamente contenuti estremisti

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Scoperto su Telegram l’algoritmo che innesca crimini e odio

Secondo uno studio Telegram, catalizzatore di rivolte sociali, teorie del complotto e reti terroristiche, promuoverebbe sistematicamente contenuti estremisti

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Scoperto su Telegram l’algoritmo che innesca crimini e odio

Secondo uno studio Telegram, catalizzatore di rivolte sociali, teorie del complotto e reti terroristiche, promuoverebbe sistematicamente contenuti estremisti

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Secondo uno studio Telegram, catalizzatore di rivolte sociali, teorie del complotto e reti terroristiche, promuoverebbe sistematicamente contenuti estremisti

Un covo per delinquenti. Virtuale, reiterato, impunito. Che Telegram rappresenti un catalizzatore di rivolte sociali, teorie del complotto e reti terroristiche non è una novità. Ma, a quanto pare, sarebbe lo stesso servizio di messaggistica istantanea a promuovere sistematicamente contenuti estremisti (se non criminogeni). A rivelarlo è una nuova indagine svolta dal Southern Poverty Law Center, un’organizzazione legale americana non profit e specializzata in monitoraggio dei diritti civili.

La scoperta è di inquietante pericolosità. Un conto è limitarsi a ospitare materiale controverso senza restrizioni, tra i motivi per cui il suo fondatore (Pavel Durov) è stato arrestato lo scorso agosto dalle autorità francesi. Tutt’altra portata avrebbe invece favoreggiarlo attivamente, tramite un algoritmo preposto a dare maggior visibilità ai profili o ai risultati di ricerca più incendiari del web. «In una scala da 1 a 10 la minaccia digitale costituita da Telegram vale 11» sostengono gli autori dello studio. Eppure a oggi possono accedervi anche i minorenni.

Che si tratti di estremismo politico-religioso, suprematismo bianco, antisemitismo o perfino di una più pragmatica compravendita di armi da fuoco, la piattaforma fondata nel 2013 si dimostra terribilmente accogliente. L’inchiesta le definisce «tossiche raccomandazioni di Telegram», denunciando la questione a partire da un enorme set di dati. Circa 28mila canali sospetti sono stati passati al setaccio. Il quadro che ne è emerso va oltre ogni previsione. «Basta vedere come funziona l’algoritmo con un profilo appena creato: cercando la parola “Donald Trump”, si viene subito reindirizzati a una serie di chat pubbliche, da oltre 150mila partecipanti. Diffondono i cospirazionismi di QAnon e la disinformazione esercitata da svariati aggregatori di news fedeli al Cremlino».

Lo stesso vale con le parole chiave “Uk riots”: come primo risultato appare un meme di Adolf Hitler (che a scatenare le violente proteste xenofobe di quest’estate sia stato l’odio via Telegram era già noto agli inquirenti britannici). La dinamica coinvolge gli utenti più rabbiosi, ma non risparmia nemmeno quelli ignari e inesperti. Secondo uno schema di indottrinamento crescente: scrollando la semplice cronaca si suggeriscono contenuti violenti. Quando invece si manifesta già indignazione ecco spuntare in bacheca ogni sorta di ideologia estrema. A questo punto, per Telegram è fatta.

La società (con sede a Dubai) rifiuta le accuse, sostiene che agli utenti venga «offerto soltanto ciò con cui vogliono interagire. Mentre noi ci impegniamo a rimuovere milioni di contenuti dannosi al giorno». Evidentemente non basta. Durov (originario di San Pietroburgo come Putin) a lungo si era tenuto a distanza dalla geopolitica del dittatore rivendicando la neutralità – anarchia? – di Telegram. Nel 2018 la Russia lo aveva addirittura bandito. Negli ultimi tempi però le cose sono cambiate. Il Cremlino ha iniziato a finanziare il servizio, fino a costituire una grossa fetta dei suoi fondi alla vigilia dell’invasione dell’Ucraina.

Già nel 2021 Telegram era finito all’attenzione del Centro internazionale per l’antiterrorismo «a causa del suo ruolo detonatore di odio online e campagne di disinformazione». Il triennio successivo non ha fatto che aumentare la tendenza. «In altre parole Telegram ormai è una delle più importanti piattaforme che i criminali usano per la criminalità» osservano i ricercatori. Il suo artefice è finito sotto investigazione formale proprio per l’assenza di moderatori interni, preludio al suddetto habitat malavitoso. Inutile a dirsi: ufficialmente, Durov e Putin non si sono quasi mai incontrati. In chat su Telegram, chissà.

Di Francesco Gottardi

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