Giovanni Brusca è libero. L’uomo che azionò il telecomando della strage di Capaci (e non solo)
Giovanni Brusca era conosciuto come il “macellaio”. È stato lui ad azionare il telecomando della strage di Capaci in cui morirono il giudice Falcone, la moglie e gli agenti della scorta. E ora è libero

Giovanni Brusca è libero. L’uomo che azionò il telecomando della strage di Capaci (e non solo)
Giovanni Brusca era conosciuto come il “macellaio”. È stato lui ad azionare il telecomando della strage di Capaci in cui morirono il giudice Falcone, la moglie e gli agenti della scorta. E ora è libero
Giovanni Brusca è libero. L’uomo che azionò il telecomando della strage di Capaci (e non solo)
Giovanni Brusca era conosciuto come il “macellaio”. È stato lui ad azionare il telecomando della strage di Capaci in cui morirono il giudice Falcone, la moglie e gli agenti della scorta. E ora è libero
Giovanni Brusca era conosciuto come il “macellaio”. È stato lui ad azionare il telecomando della strage di Capaci, in cui morirono il giudice Falcone, la moglie e gli agenti della scorta.
È stato sempre lui a commettere un altro dei più crudeli omicidi che si ricordino, quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, sequestrato, strangolato e sciolto nell’acido perché il padre aveva deciso di pentirsi.
Oggi, Giovanni Brusca è un uomo libero.
Ha scontato una pena di 25 anni, di cui gli ultimi quattro in libertà vigilata. Ha confessato oltre centocinquanta omicidi ma la scelta di collaborare con la giustizia gli è valsa un corposo sconto di pena.
Questa è la legge, questo succede, Brusca oggi è libero.
Ma liberi, e lo hanno detto a gran voce, non saranno mai davvero i familiari di tutti i morti che il boss porta sulla coscienza. “Le sue vittime sono sotto terra e lo saranno sempre” ha commentato Giuseppe Costanza, l’autista di Falcone sopravvissuto alla strage di Capaci. “Questa non è giustizia per i familiari delle vittime della strage di Capaci e di tutte le altre vittime” ha detto Tina Montinaro, moglie del capocorda di Falcone morto a Capaci. “Spero di non incontrarlo mai” dice il padre del piccolo Di Matteo: suo figlio fu ucciso perché lui, mafioso, decise di collaborare. Ucciso per ordine di Totò Riina, alla cui corte è cresciuto Brusca.
Questa è la legge, dicevamo. E se pur è vero che le dichiarazioni di Brusca hanno contribuito a far luce su molte delle vicende avvenute in quegli anni, non si può non mettersi nei panni di chi per mano sua ha perso un familiare. Parliamo di centocinquanta omicidi. Centocinquanta. Un numero che solo a pronunciarlo mette i brividi.
Eppure, per la legge, Brusca ha saldato il suo conto con la giustizia. Venticinque anni, per centocinquanta omicidi.
di Annalisa Grandi
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