Leone (il gatto torturato), i social e la violenza sugli animali
Leone, il gatto che ad Angri è morto dopo essere stato scuoiato vivo è l’ultima vittima di episodi che hanno visto animali maltrattati. E i video spesso pubblicati sui social
| Cronaca
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Leone, il gatto che ad Angri è morto dopo essere stato scuoiato vivo è l’ultima vittima di episodi che hanno visto animali maltrattati. E i video spesso pubblicati sui social
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Leone, il gatto che ad Angri è morto dopo essere stato scuoiato vivo è l’ultima vittima di episodi che hanno visto animali maltrattati. E i video spesso pubblicati sui social
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Leone, il gatto che ad Angri è morto dopo essere stato scuoiato vivo è l’ultima vittima di episodi che hanno visto animali maltrattati. E i video spesso pubblicati sui social
L’ultimo agghiacciante episodio, se possibile ancora più sconvolgente dei precedenti, è quello del gattino scuoiato vivo ad Angri. Morto nonostante i disperati tentativi di salvarlo. Una storia che ha fatto indignare, il sindaco di Angri (34mila abitanti in provincia di Salerno) ha chiesto a chiunque sappia qualcosa di farsi avanti. Ha invocato una pena esemplare, ma già sarebbe una gran cosa se per una volta i responsabili di questo scempio venissero individuati. Doveroso, oltretutto, come previsto dalla legge.
Perché la realtà, oltre la terribile storia del piccolo Leone, è che episodi di questo genere negli ultimi mesi si sono moltiplicati. E nella maggior parte dei casi sono pure stati filmati. Per una sorta di esibizionismo malato. Per l’ennesimo effetto distorto di quella percezione di impunità che si ritrova soltanto sui social. C’è da riflettere sul tipo di società in cui atrocità sugli animali diventano storie quasi quotidiane. Come se gli indifesi fossero diventati il bersaglio di chi ha problematiche serie e che seriamente andrebbero curate. Esiste peraltro una teoria criminologica per cui chi compie atti del genere sugli animali lo fa in una sorta di ‘percorso di crescita’ criminale. Cioè non si fermerà lì. Potrebbe arrivare a compiere atti gravi anche nei confronti degli esseri umani. E d’altronde, quando non si percepisce la crudeltà di ciò che si sta compiendo, è chiaro che non si ha a che fare con meccanismi che possano in qualche modo essere ricondotti a una qualche ‘normalità’.
Anche se esistono luoghi in cui ancora non si ha rispetto degli animali, differente è compiere atti come quello che è stato compiuto ad Angri. Diverso è voler causare sofferenza per il puro gusto di farlo. Probabilmente per il piacere di sentirsi in qualche modo onnipotenti. Quando è plausibile che la realtà in cui vivono queste persone rimandi loro tutt’altro che un senso di potenza. Rabbia repressa, frustrazione, chissà che altro. Sta di fatto che i social in tutto questo hanno un ruolo e pure una responsabilità. Quella di fare da cassa di risonanza di queste follie. E di far sentire queste persone in qualche modo impunite. È un annoso problema che puntualmente si ripropone, anche perché onestamente finora non si è concretamente agito per arginare questa deriva. Virtuale e reale in questi casi sono drammaticamente collegati, eppure la piazza virtuale e la condanna reale vanno raramente di pari passo.
Dovremmo preoccuparci tutti di episodi come quello di Angri. Dovremmo preoccuparci di persone capaci di tali gesti. Non era ‘soltanto’ un gatto. Era un essere vivente. Torturato soltanto perché percepito come più debole. Dovremmo preoccuparci perché quelle stesse persone si sentono in diritto di disporre di un altro essere per puro sadismo. E il passo dall’animale all’umano non è poi così lungo.
di Annalisa Grandi
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