Patrick Zaki è stato liberato, con generale soddisfazione. Però non è stato assolto dalle accuse e anzi è stata fissata una prossima udienza per il primo febbraio.
Si è fatto comunque 22 mesi in carcere (688 giorni) e le accuse a suo carico si basano su dieci post di un account Facebook, relativi alla discriminazione di cui i cristiani copti sono vittime. Attenzione, che il caso sembra incamminarsi sulla falsariga di quello della 23enne Ikram Nazih, liberata ad agosto in Marocco. Anche lei come Zaki arrestata dopo essersi recata in vacanza nel Paese di cui conserva la cittadinanza, ma in cui non vive. Anche lei come Zaki connessa all’Italia, anche se in modo diverso: lui al momento della detenzione non era cittadino italiano, anche se viveva e studiava in Italia; lei era cittadina italiana, anche se viveva e studiava in Francia.
Entrambi hanno passato guai per dei post su Facebook fuori dal loro Paese: nel caso di Ikram, un commento scherzoso su una Sura del Corano. A lei hanno dato tre anni e mezzo di carcere, poi ridotti a due mesi, in modo da farli coincidere con quelli già scontati e poterla liberare. Anche Zaki sarà condannato a 22 mesi, per poterlo rimandare in Italia a titolo di pena scontata?
L’Egitto come già il Marocco, Paesi islamici detti moderati, toglierebbero così di mezzo un contenzioso con l’Italia. Ma dopo aver comunque ribadito il principio che chiunque si azzardi su un social a dire cose sgradite ai loro governi verrà arrestato e condannato non appena tocca piede sul loro territorio.
di Maurizio Stefanini
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Tag: Italia
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