Accade di nuovo.
Accadrà di nuovo e ancora. Più o meno fra due giorni recitano le statistiche. Eppure non vogliamo e possiamo rassegnarci a questa mattanza che sembra incontenibile e ci lascia disarmati.
Ieri a Roma un’altra donna, un’altra mamma, è stata uccisa a coltellate perché un uomo non ha saputo accettare un rifiuto, la fine di una relazione che non aveva motivo di essere.
L’inasprimento delle pene, il Codice Rosso, le campagne di sensibilizzazione contro la violenza di genere sono le diverse strade, tutte giuste, che si stanno percorrendo ma che, evidentemente, si dimostrano insufficienti per arrestare il fenomeno dei femminicidi.
É un odio che parte da lontano quello che muove la mano di questi assassini, che non si genera dell’oggi al domani ma che ha radici profonde che partono con probabilità dalla propria infanzia, dall’educazione ricevuta, dall’ambiente famigliare in cui sono cresciuti.
Non sempre, ma spesso.
Se si intende invertire la rotta è soprattutto alla famiglia e alla scuola che dobbiamo appellarci. Lo abbiamo già scritto e continueremo a ripeterlo. A ogni femminicidio.
Il rispetto si insegna giorno dopo giorno, mattoncino dopo mattoncino, a cominciare dalle piccole cose. Non si improvvisa. Il rispetto per il cibo, per le cose, per gli animali, per le persone naturalmente. Cedere il posto a una persona più anziana, stare composti a tavola, non rispondere in malo modo a un genitore. Sembrano dettagli ma non lo sono. È tutto collegato, è un circolo virtuoso.
Invece cosa può insegnare di buono quella madre che nel vedere il proprio figlio prendere a calci una capretta, minimizza asserendo che “l’animale, tanto, era già agonizzante” ? Cosa, mai?
Tocca a noi adulti mostrare oggi cosa sia il rispetto ai nostri figli, altrimenti poco o nulla cambierà. E domani saremo punto a capo, a fare la conta, a dipingere panchine di rosso, appendere bambole alle pareti, a tappezzare i social con l’hashtag “nonunadimeno”. Fino al prossimo femminicidio.