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Borse, il panico è pessimo consigliere

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Se vi procurate il grafico dell’andamento delle Borse, scegliendo di misurare il tempo in anni, sarà facile vedere che la linea tremola, avanza con sobbalzi, ma avanza. In senso positivo.

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Borse, il panico è pessimo consigliere

Se vi procurate il grafico dell’andamento delle Borse, scegliendo di misurare il tempo in anni, sarà facile vedere che la linea tremola, avanza con sobbalzi, ma avanza. In senso positivo.

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Borse, il panico è pessimo consigliere

Se vi procurate il grafico dell’andamento delle Borse, scegliendo di misurare il tempo in anni, sarà facile vedere che la linea tremola, avanza con sobbalzi, ma avanza. In senso positivo.

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Le Borse salivano da tempo, l’ultimo semestre ne seguiva altri due con il segno positivo, 18 mesi di crescita nel corso dei quali nessuno ha urlato che si stavano vivendo venerdì o lunedì radiosi. Ora gli allarmi si sprecano ed è sempre meglio essere prudenti: anche se l’allarme antincendio suona perché qualcuno ha acceso una sigaretta in bagno, non per questo è saggio ignorarlo, meglio assecondarlo e prepararsi al cessato allarme. Ma se vi procurate il grafico dell’andamento delle Borse, scegliendo di misurare il tempo in anni anziché in settimane, sarà facile vedere che la linea tremola, avanza con sobbalzi, ma avanza. In senso positivo.

Ora il tonfo è significativo, ma non apocalittico. Il panico è un pessimo consigliere, specie se non se ne comprendono le ragioni. Una specie di paura della paura. Un po’ come il branco che pascola tranquillo, carduccianamente ispirando miti sentimenti di vigore e pace, poi, a un pizzo del branco, qualcuno scarta, urta, si muove, qualche capo comincia a correre e una potenza distruttiva si mette in moto. A quel punto è utile chiedersi cosa abbia mosso i primi, ma è la corsa di tutti a divenire il fatto reale con cui fare i conti. Nel polverone borsistico, comunque, durante la corsa sfrenata, in avanti o indietro, i soldi li fa chi mantiene la calma, guarda i numeri, non si incaponisce a fermare il branco ma neanche s’accontenta di seguirlo.

Cosa ha mosso il primo bufalo? Si dice: il timore della recessione. Ma non significa molto. Intanto perché le economie occidentali e anche quella cinese continuano a crescere. A un ritmo inferiore a quello degli anni passati, ma crescono. Il rallentamento è dovuto ad alcune debolezze strutturali di qualche mercato, come la pazzesca bolla immobiliare cinese. Concorre anche il fatto che nelle economie ricche e sviluppate d’Occidente si tende a sottovalutare l’effetto della leva demografica: le due più grandi potenze industriali europee, la Germania e l’Italia, mancano di lavoratori formati. A questo si aggiunga il contraccolpo della guerra scatenata da Putin, che ha sovvertito le catene produttive. Non ci danneggiano le sanzioni imposte alla Russia, ci danneggia la guerra avviata dalla Russia; la loro economia ne risente e ne risentirà assai più delle nostre, il che non toglie il danno; amplificato dalla scelta della Cina, grande fabbrica del mondo, di spalleggiare e spolpare Putin. Sono mesi che la produzione industriale rincula, per queste e altre cause.

A ciò si aggiunga che i tassi d’interesse a breve termine sono superiori all’inflazione attesa. Le Banche centrali, in testa la Fed statunitense, badano alla loro missione di controllo dell’inflazione, agendo in un contesto di crescita e di occupazione piena (negli Usa) o disoccupazione bassa (in Ue). Ma i mercati provano a guardare il dopo e quella differenza fra tassi e inflazione suggerisce un contributo alla decelerazione. Che può portare alla recessione.

Le banche commerciali sono piene di liquidità, non hanno bisogno di soldi, è che non sanno dove metterli e i loro bilanci sono in salute. Ma se recessione dovesse essere, significherà più crediti inesigibili. Ma domani, l’anno prossimo, non in questo agosto. Intanto le azioni scivolano. I titoli Big Tech avevano venduto meraviglie che non avevano (si legga Scacciavillani, a pagina 4), sicché la discesa è sensata, ma resterà un settore trainante.

Da anni in Italia non si parla d’altro che di povertà crescente, nel frattempo è cresciuta la ricchezza: dal 2018 i risparmi (calcolati a valori costanti) sono cresciuti del 7,1%. E se sono calati i depositi in banca (-1,8%), sono saliti i titoli depositati (+20,1%). Il problema è che la grande parte del nostro risparmio è legittimamente e profittevolmente investita all’estero, non trovando impieghi altrettanto attraenti dentro i confini.

La mandria in fuga può distruggere tutto, ma non distrugge sé stessa. Si fermerà ancora a pascolare. Tocca ai governi e non alle Borse eliminare i serpenti velenosi.

di Davide Giacalone

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