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Potenza europea

La potenza europea è conosciuta in tutto il mondo e misconosciuta in casa nostra. A forza di lavorare sulla percezione si finisce con il vivere fuori dalla realtà

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La potenza europea è conosciuta in tutto il mondo e misconosciuta in casa nostra. A forza di lavorare sulla percezione si finisce con il vivere fuori dalla realtà

La potenza europea è conosciuta in tutto il mondo e misconosciuta in casa nostra. A forza di lavorare sulla percezione si finisce con il vivere fuori dalla realtà, per giunta con la pretesa che a essere reale sia soltanto il percepito. Gli Stati Uniti lamentano da tempo – e ora Trump lo pone con allarmante superficialità – il tema del disavanzo commerciale: rispetto a quel che noi europei comperiamo di americano riusciamo a vendere loro merci e servizi per un valore superiore di 130 miliardi di euro l’anno. Il soggetto forte siamo noi. Non costringiamo nessuno (neanche ne avremmo gli strumenti) a comperare quel che produciamo: sono i consumatori a preferirlo.

Nel 2023 gli Usa hanno prodotto il 26% della ricchezza, del Pil globale. Sono la più grande potenza economica. La seconda è la Cina, che ne ha prodotto il 17%. E noi? Siamo secondi allo stesso livello della Cina: l’Unione europea ha prodotto il 17% del Pil globale, cui si potrebbe aggiungere il 7% di altri europei, così superando la Cina. Aggiungete che in Cina vivono 1 miliardo e 300 milioni di persone, mentre in Ue 450 milioni, dal che discende che in quanto a prodotto lordo pro capite il nostro vantaggio resterà tale anche nei prossimi anni. Eppure, se chiedete in giro, vi diranno che la Cina è una grande potenza e noi dei piccoli pitocchi soccombenti.

Noi europei abbiamo un rapporto culturale diverso, con il concetto di potenza. C’è chi della propria fa un mito, chi ne fa una bandiera. Noi tendiamo a non esaltarla. Lo abbiamo imparato dalla Storia. Cerchiamo però di non negarla e, con quello, di non vederne i punti deboli.

A ottenere quei risultati non sono i governi, ma i milioni di formiche che ogni giorno ricominciano a produrre. Formiche inarrestabili e a dispetto di tante dilapidazioni nella spesa pubblica. Eppure, dall’inizio del secolo a oggi, il reddito pro capite degli americani è cresciuto quasi il doppio del nostro. Anche il nostro è cresciuto: non ci siamo impoveriti nella media, ma ci siamo però impoveriti in senso relativo. Perché? Quelli sono stati gli anni della globalizzazione e dell’enorme crescita della ricchezza globale, ma anche gli anni in cui la dimensione dei produttori e la loro capacità di riprodursi nel mondo ha avuto un peso decisivo. E i nostri produttori sono piccoli, hanno dimensione nazionale e non europea.

Le nostre capacità e produzioni tecnologiche sono di alto valore, ma ogni anno le imprese specializzate in tecnologie mature investono 270 miliardi di euro in meno rispetto alle paragonabili statunitensi. L’essere piccole le porta a investire meno, quindi a perdere competitività e velocità di crescita. Ci facciamo anche del male da soli: siamo i più avanti nelle tecnologie della decarbonizzazione ma sembriamo festeggiare che gli Usa neghino quella necessità e ci spingiamo a sperare di farlo in fretta anche noi. Come se la Coca-Cola vedesse con favore la condanna delle bevande gassate e zuccherate.

Negli Usa ci sono masse di capitali, alimentate anche dai risparmi europei, che corrono dietro alle piccole imprese innovative (startup). Da noi non c’è neanche un mercato unico dei capitali, produciamo più risparmio di quello che riusciamo a impiegare in casa e la preoccupazione dei governi è che il risparmio sia indirizzato al finanziamento dei debiti pubblici. Per forza che perdiamo competitività. C’è qualcuno disposto a parlare di queste debolezze? Che, fra l’altro, qui in Italia comportano la crescita dei posti di lavoro a basso valore aggiunto, quindi con bassi salari. Siamo ancora alle banche di territorio e al rifiuto del Mes.

Di sicuro non siamo una potenza militare. Dobbiamo rimediare aggregando la spesa e facendone leva per i nostri produttori. Ma non c’è nessuna motivazione razionale per cui il pudore nel parlare della nostra potenza economica sconfini nel negarla e nel correre appresso a quelli che vogliono descriverci come relitti alla deriva. Un incubo che giulivi benestanti hanno preso per passatempo, con il rischio di realizzarlo.

di Davide Giacalone

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