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Il linguaggio inclusivo? In realtà discrimina

Asterischi, “e” rovesciate, nuovi modi di parlare. Il desiderio di non essere etichettati ci sta sfuggendo di mano. Un cambio culturale è necessario ma non è su questo campo che si devono fare le battaglie per i diritti. 

Il linguaggio inclusivo? In realtà discrimina

Asterischi, “e” rovesciate, nuovi modi di parlare. Il desiderio di non essere etichettati ci sta sfuggendo di mano. Un cambio culturale è necessario ma non è su questo campo che si devono fare le battaglie per i diritti. 

Il linguaggio inclusivo? In realtà discrimina

Asterischi, “e” rovesciate, nuovi modi di parlare. Il desiderio di non essere etichettati ci sta sfuggendo di mano. Un cambio culturale è necessario ma non è su questo campo che si devono fare le battaglie per i diritti. 
Asterischi, “e” rovesciate, nuovi modi di parlare. Il desiderio di non essere etichettati ci sta sfuggendo di mano. Un cambio culturale è necessario ma non è su questo campo che si devono fare le battaglie per i diritti. 
Trattare una tematica tanto delicata come quella del linguaggio di genere senza essere fraintesi, etichettati, banalizzati è un’impresa ardua.  A tutti ormai sarà capitato di leggere soprattutto sui social network nuove formule cosiddette inclusive come lo Schwa (ə), l’asterisco (*), la x oppure la U. Così “Buongiorno a tutti” è diventato “Buongiorno a tutt*” al fine di includere tutti quei generi che prima non si sentivano rappresentati, come coloro che non si identificano né nel genere maschile né in quello femminile.  Questi simboli vengono utilizzati appositamente per le questioni di genere, ma il linguaggio inclusivo è molto altroLe parole hanno un significato ben preciso ed è arrivato il momento di usarle in maniera appropriata, senza ledere le sensibilità altrui. Del resto è proprio per questo motivo che è nato il linguaggio inclusivo. Le prime persone a essere bersagliate da un linguaggio inopportuno sono proprio quelle che hanno subito discriminazioni importanti nella storia, legate all’etnia e alla disabilità.  Fortunatamente non sentiamo più la parola handicappato con offesa da tanto tempo, ma si potrebbe fare ancora di più. Ho scoperto, per esempio, che al posto di utilizzare parole come “persona disabile” o “disabile” sarebbe più corretto dire “persona con disabilità”, per lasciare intendere che la persona, oltre la disabilità, ha molteplici tratti che la caratterizzano.

PARITÁ DI GENERE: OMESSA, DIMENTICATA, ASSUEFATTA

Molti traducono erroneamente la parità di genere in caratteristiche maschili attribuite alle donne. Frasi come “sei una donna con le palle” oppure “chi porta i pantaloni in casa”, fanno sembrare che avere il coraggio di fare qualcosa o avere autorità decisionale derivi comunque da caratteristiche maschili. Così come “non fare la femminuccia” colpevolizza gli uomini che liberamente esprimono sentimenti ed emozioni, concessi invece in maniera del tutto “naturale” al genere femminile. Personalmente credo sia una perdita di tempo scontrarsi su queste questioni, e sarebbe forse il caso di prendere con più leggerezza tutto ciò. Sarebbe più utile concentrare le proprie energie su questioni più concrete, come la parità di reddito tra uomo e donna, solo per citarne una. Utilizzare i simboli al posto del plurale, perché altrimenti non vengono incluse alcune “categorie”, lo trovo discriminatorio tanto quanto utilizzare termini maschili, dato che le forme femminili vengono comunque annullate lasciando il posto a qualcosa di ignoto.  Il dibattito sul linguaggio di genere è in corso da parecchi anni, e ha chiamato in causa diversi sociolinguisti, alcuni favorevoli e altri no. Gli studiosi inclini all’utilizzo dei simboli citati in precedenza motivano così la loro scelta: nella lingua italiana alcuni termini sono maschili e non femminili. In realtà su questo abbiamo già fatto enormi progressi, tanto che si utilizzano parole come avvocatessa, sindaca, magistrata e alcune donne hanno addirittura preferito mantenere comunque la declinazione al maschile. Per ultimo, ma non meno importante, il problema principale risiede nel confondere l’identità sessuale con quella di genere. Ogni lingua è inclusiva, siamo noi a scegliere come utilizzarla.  Battersi per cancellare tratti biologici umani, che esistono inevitabilmente e indipendentemente dall’identità di genere, non è forse un investimento di energie che potrebbero essere utilizzate per questioni ben più concrete? di Claudia Burgio

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