La comunità ebraica di Roma non sarà presente alla posa della prima pietra del Museo della Shoah. Hanno ragione, perché il capitare nel pieno della campagna elettorale è cosa di rara ineleganza.
Ma, ci si chiederà, allora deve fermarsi tutto, durante le campagne elettorali? Giusta obiezione, ma che fa emergere la vera questione, la cosa che dovrebbe indignare chiunque.
La decisione di realizzare, a Roma, un Museo della Shoah è stata presa nel 1997. È stata poi solennemente ribadita e ufficialmente varata nel 2005 (il sindaco protagonista di questa seconda ripartenza, Walter Veltroni, rimase in carica fino al 2008).
Siamo nel 2021 e si posa la prima pietra? Passi per le lungaggini amministrative, le solite complicazioni burocratiche e ogni altra cosa si voglia e possa immaginare, ma questa è una storia surreale.
A questo punto si dovrebbero avviare i lavori per una interessantissima iniziativa: il Museo dedicato alla storia del Museo che, in ventiquattro anni, non si riuscì mai manco ad avviare. Vero è che si deve custodire la memoria non solo di quella orrenda pagina di cui l’Italia fu corresponsabile, ma anche di quella grottesca di cui Roma e le amministrazioni capitoline sono i soli protagonisti.
E potrebbe ben essere un Museo capace di crescere nel tempo, ampliandosi per attrazione delle tante opere pubbliche annunciate, confermate, avviate con prime pietre, talune anche parzialmente inaugurate e mai realizzate o completate. Talora il ridicolo supera il drammatico.
di Gaia Cenol
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