Carlos Tavares, favori e concorrenza
Non c’è nulla di casuale nelle parole e nell’atteggiamento dell’amministratore delegato del gruppo Stellantis Carlos Tavares nei confronti del governo italiano
Carlos Tavares, favori e concorrenza
Non c’è nulla di casuale nelle parole e nell’atteggiamento dell’amministratore delegato del gruppo Stellantis Carlos Tavares nei confronti del governo italiano
Carlos Tavares, favori e concorrenza
Non c’è nulla di casuale nelle parole e nell’atteggiamento dell’amministratore delegato del gruppo Stellantis Carlos Tavares nei confronti del governo italiano
Non c’è nulla di casuale nelle parole e nell’atteggiamento dell’amministratore delegato del gruppo Stellantis Carlos Tavares nei confronti del governo italiano
Non c’è nulla di casuale nelle parole, nell’atteggiamento, persino nel linguaggio del corpo dell’amministratore delegato del gruppo Stellantis Carlos Tavares nei confronti del governo italiano. Oseremmo aggiungere dell’anima italiana del gruppo da lui guidato – in teoria una joint venture paritaria fra quella che fu Fiat, poi Fca e Peugeot – e delle strategie che disegneranno il futuro dell’azienda.
Vero che le responsabilità italiane in termini di politica industriale e in modo specifico nel settore dell’automotive sono notevoli e gravi: solo ieri scrivevamo dell’atteggiamento ‘randomico’ con cui abbiamo affrontato e affrontiamo tuttora l’elettrificazione della mobilità. Mancanze evidenti dei diversi governi che si sono succeduti e dello stesso comparto produttivo, sospeso fra l’obbligo di affrontare il futuro e la ricerca di punti di riferimento noti e rassicuranti. L’amministratore delegato Tavares ha però superato tutti. È riuscito a inanellare una serie di uscite, dichiarazioni e atteggiamenti che lasciano sbigottiti. Prima la postura da cowboy sugli incentivi, buttati sul tavolo manco possano essere usati come moneta di scambio degli investimenti di un’azienda privata e ancor più della salvaguardia degli impianti e dei posti di lavoro italiani. Neppure il tempo di fare una parziale marcia indietro ed è arrivato l’affondo ancora più ostile legato alla paventata – al momento più che altro vagheggiata – strategia per portare in Italia un secondo produttore di automobili, presumibilmente cinese. È giù ancora minacce di disimpegno di Stellantis, se il governo italiano dovesse creare le condizioni per ampliare la produzione di automobili nel nostro Paese, sottinteso in concorrenza con il gruppo italofrancese. Guarda i casi della vita, a poche ore dall’incontro fra il ministro degli Esteri Antonio Tajani e il ministro cinese del Commercio Wang Wentao, nel primo contatto diretto dopo la rinuncia di Roma alla Via della Seta abbracciata in era gialloverde.
Siamo poco oltre le dichiarazioni di intenti, ma l’apertura a una presenza industriale in Italia risponderebbe comunque a una sacrosanta e più che legittima iniziativa di politica industriale, sempre preferibile all’immobilismo che stigmatizzavamo appena ieri in prima pagina. Atteggiamenti perfettamente comprensibili (nel senso che avvengono alla luce del sole e ormai non si fa nulla per nascondere l’ostilità) quelli del capo di Stellantis, ma inaccettabili.
Quanto all’anima italiana del gruppo, il presidente John Elkann ha sempre cercato la via dell’accomodamento e poche ore fa si è spinto a paragonare Carlos Tavares a Sergio Marchionne in quanto a visione. Visto che è stato chiamato in causa, Sergio Marchionne fu un manager certo non infallibile ma straordinariamente coraggioso, intuitivo e illuminato e rimise Fiat e poi Fca al centro del mondo dell’automobile tirandola fuori dalla tomba. I modelli in grado di reggere la concorrenza – quella stessa che Stellantis dovrebbe abbracciare e non cercare di aggirare per battere l’eventuale avversario cinese, se dovesse arrivare – risalgono all’epoca Marchionne. A noi sembra sia giunta l’ora di darsi una svegliata.
di Fulvio Giuliani
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