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Concessioni balneari

Concessioni balneari, un modus operandi che va fermato

Mentre si strombazza che il problema concessioni balneari sia risolto, la realtà è ben diversa. Si è ceduto nuovamente ai bonus e ai ristori e molte criticità vanno ancora risolte.
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Concessioni balneari, un modus operandi che va fermato

Mentre si strombazza che il problema concessioni balneari sia risolto, la realtà è ben diversa. Si è ceduto nuovamente ai bonus e ai ristori e molte criticità vanno ancora risolte.
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Concessioni balneari, un modus operandi che va fermato

Mentre si strombazza che il problema concessioni balneari sia risolto, la realtà è ben diversa. Si è ceduto nuovamente ai bonus e ai ristori e molte criticità vanno ancora risolte.
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Mentre si strombazza che il problema concessioni balneari sia risolto, la realtà è ben diversa. Si è ceduto nuovamente ai bonus e ai ristori e molte criticità vanno ancora risolte.

Il refrain di retorica, che da noi sempre accompagna le decisioni politiche, strombazza che è stato raggiunto l’accordo nella maggioranza sulle concessioni balneari e che dunque si può proseguire con la legge sulla concorrenza, tassello fondamentale per dare seguito agli stanziamenti a favore dell’Italia previsti dal Recovery. Nell’impatto con la realtà che provoca dolorose musate c’è che la ciccia, ossia il panel di risarcimenti per chi perde le concessioni messe a gara, viene rinviato ai soliti fantomatici decreti attuativi che il governo (ma quale? Quello Draghi o chissà chi) dovrà presentare tra mesi. Il tutto accompagnato dai soliti boati entusiasti per bonus, ristori, indennizzi e la solita massa di denaro pubblico che finisce dispersa per mille obliqui rivoli.

Bene, si fa per dire. Proviamo a mettere in fila qualche priorità. La prima è che il Palazzo as usual stava avvitandosi in una delle performance che ci screditano agli occhi dell’Europa. Dibattere sulle concessioni – questione che risale alla notte dei tempi e sulla quale siamo in verticale ritardo – come se fosse la cosa più importante, con le forze politiche che fanno a gara per vestire i panni di Azzeccagarbugli per difendere ognuna il proprio pezzetto di costituency e su tutto questo minacciare la crisi, era semplicemente ridicolo. Draghi porta a casa tutto quello che poteva, cedendo tuttavia (ed è già successo su altri fronti: tendenza ultra preoccupante) appunto ai bonus, ai ristori, agli indennizzi e, chissà, ai sussidi. Sappiamo che ci sono occasioni in cui il meglio è peggio del bene. Però era forse lecito attendersi qualcosa di meno compromissorio, qualcosa che non accarezzasse per il verso del loro pelo alcuni precisi interessi, secondo una costumanza che ci ha portato alla voragine del debito pubblico e all’abisso dell’evasione fiscale (ci torniamo più sotto).

La seconda priorità è che questo è solo un primo, timidissimo passo per smantellare un precetto che sembra incastonato nella mente di tanti. E cioè che se lo Stato mi affida un pezzo di terreno pubblico – ma vale anche per i servizi: pensiamo ai taxi – affinché venga valorizzato e gestito in modo ottimale per i cittadini, poi non è che quel terreno o quel servizio diventano proprietà privata e vengono tramandati di padre in figlio con meccanismo dinastico. Lo Stato ha tutto il diritto di vedere se le regole sono rispettate ed è sacrosanto che lasci aperte le porte a una periodica revisione concorrenziale che favorisca nuovi innesti. È legittimo che chi ha investito reclami il riconoscimento delle somme spese; è barbarico riferirsi alla concessione come fece Napoleone riguardo la corona di re d’Italia: dio me l’ha data, guai a chi la tocca.

E poi c’è il tassello più importante, che è via via diventato il buco nero del rapporto Stato-cittadini. Secondo dati resi noti dal Mef/Isa per l’anno 2019, cioè prima del collasso da Covid, sei gestori balneari su dieci risultano “inaffidabili” per il fisco. Sarebbe semplicistico e fortemente ingiusto definirli evasori. Ma è evidente che qualcosa non quadra. Specialmente per le 860 società di capitali che dichiarano un reddito medio annuo di 2mila euro. Alzi la mano chi ci crede.

Ecco, questo è il punto. Il principio della concorrenza, cioè la messa a gara per decidere l’affidamento delle concessioni balneari, serve a distinguere chi rispetta le regole e chi al contrario le elude danneggiando tutti gli altri. Serve per garantire trasparenza e miglioramento della qualità del servizio. Non volerlo accettare è piombo al piede del Paese.

C’è anche un altro riferimento opportuno. Al Senato, sempre il ddl sulla concorrenza procede col passo del gambero. Di fatto, le modifiche approvate in Commissione ridimensionano il testo del governo su servizi locali, partecipate e porti. Il contrario di quanto serve all’Italia. Per favore, fermiamoci.

di Carlo Fusi

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