Continentale – gli interessi di Francia e Italia
La Francia e l’Italia hanno in comune interessi vitali: negoziare il nuovo Patto di stabilità e la Libia. Bisogna cogliere l’occasione per un tema Ue
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La Francia e l’Italia hanno in comune interessi vitali: negoziare il nuovo Patto di stabilità e la Libia. Bisogna cogliere l’occasione per un tema Ue
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La Francia e l’Italia hanno in comune interessi vitali: negoziare il nuovo Patto di stabilità e la Libia. Bisogna cogliere l’occasione per un tema Ue
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La Francia e l’Italia hanno in comune interessi vitali: negoziare il nuovo Patto di stabilità e la Libia. Bisogna cogliere l’occasione per un tema Ue
Gérard Darmanin l’ha fatta fuori dal vaso. Accostando Meloni a Le Pen, ha infilato una serie di idiozie e ha dimostrato di non conoscere un accidenti della geografia politica europea. C’è da capirlo, per certi aspetti, visto che s’era messo a lavorare per la destra gollista, aveva avuto cedimenti da destra estrema, ha poi accettato l’offerta ministeriale di un Macron che aveva vinto bene le presidenziali e perso male le legislative. Una volta entrato al governo l’hanno buttato fuori dai Repubblicani, così è entrato nel partito di Macron. A forza di girare s’è perso. Più di tanto, chi se ne importa. Il ministro degli Esteri francese ha provato a metterci una pezza. Troppo piccola. Il governo italiano e Meloni hanno ragione, cosa che non ebbero in altre circostanze. È giusto che ne approfittino, perché così funzionano la vita e la politica, ma non commettendo lo stesso errore dello sventurato, ovvero con l’occhio rivolto alla politica interna.
La Francia e l’Italia hanno in comune interessi vitali. Un pezzo di mondo italiano ripete che noi e i francesi abbiamo motivi storici di dissidio, se non antipatie popolari, magari tirando in ballo anche il calcio. Se è per quello, anche i derby italiani si giocano fra squadre contrapposte della stessa città e qui non solo siamo cittadini della stessa Ue, ma abbiamo pezzi preziosi di storia in comune. Quindi quella roba è solo polemicume. Oggi abbiamo in comune l’interesse a negoziare passaggi decisivi del nuovo Patto di stabilità. Così come abbiamo comuni interessi in Libia. Anzi, la Libia è un cattivo esempio di cosa succede quando prendiamo a far prevalere gli interessi che dividono: ci si rimette.
Ma restiamo al delicato tema dell’immigrazione, perché prima o dopo la razionalità dovrà pur prevalere: non esistono né esisteranno mai soluzioni nazionali a problemi continentali. E la pressione migratoria è continentale alla partenza e continentale all’arrivo. Se la si vive guardando il confine fra Francia e Italia si è deficienti. Su quel confine (come su altri interni) si ripercuote l’incapacità collettiva di affrontare il problema in chiave continentale.
Gli accordi frontalieri fra Paesi Ue funzionano benissimo. Lo stesso schema di Dublino funziona benissimo. Ma si riferiscono a situazioni completamente diverse: un canadese che arrivasse all’aeroporto di Roma o di Parigi o di Berlino e, per una ragione o l’altra, non avesse titolo e diritto d’entrare, deve essere fermato nel punto in cui è sbarcato e da lì reimbarcato e rispedito indietro. Usare questo schema per centinaia di migliaia di persone che arrivano neanche ponendosi il problema della legittimità è fuori dalla realtà. È solare, evidente e non è che ci si debba battere la testa all’infinito per rendersene conto. Facciamo allora un pacco degli errori fin qui commessi e buttiamolo a mare, prendiamo quelli che devono dire le cretinate propagandistiche (come Darmanin) e mandiamoli in cortile a sfogarsi: quel che ci serve è giurisdizione europea.
Lo dimostra anche la conclamata incostituzionalità dell’articolo 7 del “decreto Cutro”, dove nella sostanza il governo ha ragione (se c’è un’espulsione non possiamo discuterne i ricorsi per un paio d’anni), ma nella forma fa a pugni con la Costituzione. E capita perché si usa una giurisdizione per cittadini applicata a un problema di non cittadini. Siccome non possiamo averne una per gli sbarcati – giacché in quel momento stesso vale la legge italiana – dobbiamo disinnescare questa trappola, stabilendo che chiunque varchi un qualsiasi confine esterno dell’Ue diventa automaticamente oggetto di giurisdizione europea, considerando quindi extraterritoriale il luogo dov’è nel frattempo ospitato.
Anziché mettersi a farsi le linguacce, si colga l’occasione per farne un tema Ue: non per “porlo al centro” di non si sa mai che cosa, ma per discutere le concrete proposta e modalità d’avere veramente frontiere comuni. Che è poi il solo modo per salvare la preziosa conquista della libertà di movimento al loro interno.
Di Davide Giacalone
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