Da Salvini a Bach, i paletti a Zelensky
Abbiamo tramutato un’occasione per dimostrare umana e politica solidarietà a Zelensky, leader di un popolo aggredito, in un’ordalia tutta interna a casa nostra
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Da Salvini a Bach, i paletti a Zelensky
Abbiamo tramutato un’occasione per dimostrare umana e politica solidarietà a Zelensky, leader di un popolo aggredito, in un’ordalia tutta interna a casa nostra
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Da Salvini a Bach, i paletti a Zelensky
Abbiamo tramutato un’occasione per dimostrare umana e politica solidarietà a Zelensky, leader di un popolo aggredito, in un’ordalia tutta interna a casa nostra
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Abbiamo tramutato un’occasione per dimostrare umana e politica solidarietà a Zelensky, leader di un popolo aggredito, in un’ordalia tutta interna a casa nostra
Gli equidistanti non mollano, i situazionisti non mancano mai, quelli che cavalcano l’inevitabile stanchezza della guerra ancor meno.
In Italia, complice il Festival di Sanremo e l’invito rivolto al presidente ucraino Volodomyr Zelensky perché tenga un videodiscorso durante la serata della finale, da giorni ne parliamo come se da quel messaggio possa dipendere chissà cosa.
Abbiamo tramutato un’occasione per dimostrare umana e politica solidarietà al leader di un popolo aggredito a freddo da un vicino potente, vigliacco e ossessionato in un’ordalia tutta interna a casa nostra, l’ennesima occasione di propaganda sulla pelle degli altri da parte di chi non ha più argomenti spendibili e funzionali nell’arena social e con un occhio ai sondaggi.
Se Zelensky – come comprensibile, dopo questa caciara insostenibile – dovesse infine declinare e mandare a stendere questa pagliacciata del ‘controfestival’ (controfestival o contro la politica atlantista italiana, siate almeno coerenti e sinceri), faremmo la figura che ci meriteremmo per aver usato argomenti pelosi come il pacifismo senza domande e la difesa della leggerezza delle ‘canzonette’ di Sanremo pur di mettere i bastoni fra le ruote al presidente ucraino.
All’uomo che ha incarnato con rara efficacia mediatica e soprattutto presenza di spirito e coraggio personale l’animo di un popolo che non vuole rassegnarsi alla schiavitù e al vassallaggio.
I volenterosi equidistanti italiani non sono soli, troveranno un bell’esempio nel presidente del Comutato Olimpico Internazionale Thomas Bach, che vuole riammettere a titolo personale gli atleti russi e bielorussi alle Olimpiadi di Parigi 2024. Il suo ragionamento ha punti di forza – quale responsabilità attribuire all’atleta in forza del suo passaporto? – ma anche di evidente e pericolosa debolezza.
Come distinguere l’atleta (come l’attore, l’artista, il ballerino ed è già successo proprio da noi, in Italia) che voglia fare solo sport da quello che si pieghi alla propaganda?
Come evitare episodi insostenibili come la sceneggiata nauseante del padre di Nole Djokovic agli Open d’Australia di Tennis? Il figlio nulla c’entra, come ovvio, ma se un singolo svalvolato ha combinato questo caos in un singolo torneo, cosa potrebbe accadere alle Olimpiadi?
Bach dovrebbe dare delle risposte e offrire soluzioni, non solo appellarsi a principi generici che oggi fanno oggettivamente il gioco del dittatore.
La Storia ce lo insegna: con lo sport si può fare propaganda della peggiore politica, dimenticarlo se si è a capo del Cio è imperdonabile.
di Fulvio Giuliani
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