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Democrazie fragili

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Le democrazie non sono deboli, sono fragili. La loro fragilità è preziosità e delicatezza, rientrano fra le cose umane che devono essere volute ma non imposte

Democrazie fragili

Le democrazie non sono deboli, sono fragili. La loro fragilità è preziosità e delicatezza, rientrano fra le cose umane che devono essere volute ma non imposte

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Democrazie fragili

Le democrazie non sono deboli, sono fragili. La loro fragilità è preziosità e delicatezza, rientrano fra le cose umane che devono essere volute ma non imposte

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Le democrazie non sono deboli, sono fragili. La loro fragilità è preziosità e delicatezza, rientrano fra le cose umane che devono essere volute – meglio se amate – ma non imposte. Si può fermare, anche con la forza, chi voglia aggredire la libertà, ma non si può imporla a chi non la desidera e non la apprezza. La famiglia democratica è una sola, ma le democrazie sono tante quante sono le storie nazionali. Quel che succede in Francia ci segnala una malattia democratica che non è soltanto francese, ma che per noi è più facile riconoscere proprio perché accade in casa altrui.

A Sébastien Lecornu va il record di capitolazione precoce: ha ricevuto l’incarico il 9 settembre; domenica 5 ottobre porta all’Eliseo la lista dei ministri, che il Presidente della Repubblica nomina; e la mattina presto di lunedì 6 ottobre (ieri) rassegna le dimissioni. Con proroga presidenziale a domani, mercoledì. La Costituzione francese non prevede il voto di fiducia in Parlamento, il governo è stato nella pienezza dei suoi poteri per una notte, ma già era annunciata una mozione di sfiducia, che sarebbe passata per il convergere degli opposti. Lecornu succedeva – si fa per dire – a François Bayrou, che la mozione di sfiducia volle affrontarla sapendo di perdere, ma usandola per dire in Parlamento alcune verità, come quella che regalare pensioni è un’offesa agli interessi dei giovani. La maggioranza non l’aveva Bayrou e non l’avrebbe avuta Lecornu, ma questa è fisiologia democratica, non patologia. Il problema è altrove.

Si può anche dare tutta la responsabilità a Emmanuel Macron, al modo in cui ha sciolto l’Assemblea nazionale e gestito le tre crisi successive. Innocente non è. Ma neanche era immaginabile che ignorasse il voto espresso alle europee. Il problema sta lì, nel modo in cui hanno votato i cittadini francesi. Non perché abbiano votato a destra o a sinistra – anche questa è fisiologia democratica – ma perché hanno votato per l’estrema destra e l’estrema sinistra, unite nell’impedire che si governi e ovviamente divise sull’ipotesi di governare. Per superare questo stallo si possono chiamare ancora nuove elezioni (come è probabile che avvenga), ma sarà inutile se non cambierà l’atteggiamento degli elettori e se non capiranno che votare soltanto ‘contro’ significa procurarsi dei danni.

È quello il male che segnala la fragilità democratica. Che si condividano o meno le scelte degli elettori e dei governi, è necessario che i consensi si raccolgano attorno a delle affermazioni, non a delle negazioni. Ovvio che la concorrenza si fa anche denigrando le idee dell’avversario, ma non mettendone in dubbio la legittimità. In Francia è stato due volte plebiscitato Macron: la prima perché offriva il superamento dei partiti, quello gollista e quello socialista; la seconda perché faceva da argine alla destra estrema. Poi gli stessi elettori hanno votato Marine Le Pen e Jordan Bardella da una parte e Jean-Luc Mélenchon dall’altra: gli uni contro gli altri e tutti contro Macron. E sia la destra di Bardella che la sinistra di Mélenchon possono solo portare male alla Francia.

La parola tornerà ai francesi. La democrazia è di suo cristallina, gli anelli possono essere fragili ma la catena è forte se gli elettori ne sono consapevoli. Quel che vediamo in Francia, però, non è poi così diverso da quel che vediamo in altre democrazie e in casa nostra: identità politiche costruite ‘contro’ e non ‘per’. Le piazze estremizzate da chi crede che difendere i palestinesi preveda il difendere o il non condannare Hamas e chi ritiene che si debba difendere Netanyahu per difendere Israele. Non ha senso, ma quella roba non conosce altro senso.

La progressiva diserzione degli elettori, sempre meno attirati da proposte interessanti, consegna le urne in mano alle tifoserie identitarie ed estremiste. I partiti, per fare il pieno di quei voti, si estremizzano sempre di più. Il che non soltanto non richiama gli elettori ragionevoli, ma li allontana maggiormente. Succede in Francia. Succede anche in Italia. E questa non è fisiologia, ma patologia.

di Davide Giacalone

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