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I nostri interessi

Cancellare qualsiasi contatto con al-Sisi non contribuirebbe in alcun modo a ottenere giustizia per Giulio Regeni.
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Cancellare qualsiasi contatto con al-Sisi non contribuirebbe in alcun modo a ottenere giustizia per Giulio Regeni.
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Cancellare qualsiasi contatto con al-Sisi non contribuirebbe in alcun modo a ottenere giustizia per Giulio Regeni.
L’incontro fra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e l’uomo forte del Cairo al-Sisi ha scatenato una valanga di letture dominate dal peso della tragica vicenda di Giulio Regeni nei rapporti fra Italia ed Egitto. Secondo l’opposizione e la stampa più critica nei confronti del governo, il bilaterale avrebbe sancito la prima normalizzazione fra i due governi dopo la doppia crisi rappresentata dall’assassinio dello studente italiano e dal caso di Patrick Zaki, ancora in attesa di una soluzione definitiva. C’è chi si è spinto a parlare di una specie di archiviazione di fatto della storia di Giulio Regeni, sancita dal colloquio ‘concesso’ da Giorgia Meloni. I più morbidi hanno invece richiamato una realpolitik del capo del governo italiano, che si sarebbe limitato a cogliere l’occasione oggettiva rappresentata dalla conferenza sul clima di Sharm el-Sheikh. Un modo relativamente indolore per sondare il terreno con un interlocutore, comunque la si pensi, imprescindibile nello scacchiere mediterraneo. La realpolitik è un concetto di alto valore storico e politico: richiama una capacità di interlocuzione non ideologica, basata sugli interessi strategici di un Paese che solo nel mondo dei pii desideri passano esclusivamente attraverso rapporti con specchiati statisti e modelli di democrazia e rispetto dei diritti umani. Gli interessi dell’Italia nel bacino mediterraneo e nella colossale sfida energetica, per uscir di metafora, impongono al governo di Roma di non scegliersi amici ma partner utili e affidabili per quanto possibile. Con l’Egitto hanno ‘parlato’ tutti gli ultimi governi, compreso l’esecutivo Draghi di cui su queste colonne lodammo la visione strategica nell’aver favorito attraverso l’Eni (non a caso da alcuni definito “Deep State”) una posizione di rilievo dell’Italia nell’area attraverso proprio la presenza in Egitto. Oltre allo storico sfruttamento del gigantesco giacimento di gas scoperto al largo delle coste egiziane nel 2015, Eni più che sulla realizzazione del gasdotto EastMed (Egitto-Israele-Cipro-Grecia-Italia, complicatissimo per evidenti implicazioni geopolitiche) sembra puntare sul gas da far arrivare in Italia via mare e liquefatto proprio in Egitto. Il Paese ha infatti due terminali per la liquefazione, uno dei quali – a Damietta – lavora praticamente in esclusiva per Eni. Mario Draghi non ha incontrato al-Sisi (Giuseppe Conte sì), ma quanto a presunta realpolitik avrebbe di fatto indicato il cammino al governo di Giorgia Meloni. Il punto, come ovvio, è che non si può personalizzare oltremodo la politica: un faccia a faccia non diventa più o meno presentabile in base alla simpatia ideologica che si può provare per questo o quel leader. I rapporti fra Stati, come nel caso specifico di Italia ed Egitto, sono un intreccio profondamente complesso di interessi reciproci. Cancellare qualsiasi contatto o interlocuzione – sapendo che al Cairo nulla cambierebbe nell’atteggiamento su quell’assurda e dolorosa vicenda, ancora in buona parte da comprendere – non contribuirebbe in alcun modo a ottenere giustizia e onorare la memoria di un connazionale orrendamente ucciso. Fare quelli che non parlano con al-Sisi ci priverebbe oltretutto della possibilità di far pressione direttamente su di lui. Potrebbe soddisfare certa propaganda, insomma, ma sarebbe del tutto contrario agli interessi nazionali. Chiamatela pure realpolitik. Di Fulvio Giuliani

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