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Il piano Draghi

Il piano Draghi e il rinvio della presentazione della nuova Commissione europea

Il rinvio della presentazione della nuova Commissione europea è una succosa occasione per chiudere in fretta il surreale girotondo sul Piano presentato da Mario Draghi

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Il piano Draghi e il rinvio della presentazione della nuova Commissione europea

Il rinvio della presentazione della nuova Commissione europea è una succosa occasione per chiudere in fretta il surreale girotondo sul Piano presentato da Mario Draghi

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Il piano Draghi e il rinvio della presentazione della nuova Commissione europea

Il rinvio della presentazione della nuova Commissione europea è una succosa occasione per chiudere in fretta il surreale girotondo sul Piano presentato da Mario Draghi

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Il rinvio della presentazione della nuova Commissione europea è una succosa occasione per chiudere in fretta il surreale girotondo sul Piano presentato da Mario Draghi

Il rinvio della presentazione della nuova Commissione europea è una succosa occasione per chiudere in fretta il surreale girotondo sul Piano presentato da Mario Draghi. Problemi e pericoli, come soluzioni e opportunità, rimangono tutti dove sono, ma una politica spianata dal Piano non crede che si possano veramente affrontare, magari dissiparli o risolverli, preferendo allenarsi a navigarli senza altra meta che il navigare.

Le 62 pagine del Piano Draghi, dedicato alla competitività e indirizzato alla sovranità e alla ricchezza dell’Ue, non sono l’esercizio di un tecnico ma un documento politico. Non si tratta di stabilire quanto sia bravo l’autore e, del resto, la sua sapienza non risolve il problema del consenso e della praticabilità. Quella tracciata è una rotta politica, ma anziché essere un gargarismo retorico è strutturata in modo tale da accompagnare le aspirazioni con gli strumenti per realizzarle e i timori con i rimedi per fronteggiarli. Resta però una rotta politica, cui è ben legittimo contrapporsi. La politica politicante ha preferito un approccio diverso: bello, bravo, ma torniamo a parlare d’altro.

Surreale che a dirsi favorevoli al completamento del mercato unico dei capitali siano gli stessi che hanno messo l’Italia nella misera posizione del solo Paese Ue che non ha ancora ratificato la riforma del Meccanismo europeo di stabilità. Alcuni fanno i furbi, altri non hanno proprio colto il nesso. Curioso che ad apprezzare la ricchezza che può derivare dalla decarbonizzazione siano gli stessi che vorrebbero affondare la nostra industria producendo nel futuro le auto del passato. Commovente che a dirsi contrari al crescere degli strumenti finanziari dell’Unione siano gli stessi che assicurano d’essere capaci di spenderli (al momento assai indietro). Ma la cosa più toccante è che la politica nel suo insieme s’atteggia come fosse una giuria incaricata di valutare il Piano, magari generando qualche seguace che ha appena finito d’ispirarsi all’Agenda Draghi. Nell’uno e nell’altro caso senza averne colto il contenuto.

Il compito della politica – che non si pensi spianata – è generare e raccogliere il consenso. Terminata la fase elettorale, ha il compito di amministrare il necessario compromesso. Facendolo in modo da rendere credibile il legame fra consenso e interessi. Altrimenti non serve a niente. Né Draghi né altri possono prescindere da quel lavoro della politica, mentre troppi politici si sono convinti di potere galleggiare rinunciandovi. Quando Draghi dirigeva la Banca centrale europea i risultati sono stati eccellenti perché il consenso era dato dalla struttura istituzionale e la mediazione avveniva nell’organo direttivo, con gli altri rappresentanti delle Banche centrali. Quando ha governato l’Italia non ha perso la visione e la rotta, ma ha dovuto rinunciare a molto per mancanza di forza: di consenso e compromesso. Fosse stato per la guida di quel governo avremmo fermato subito il folle scempio del super bonus e avremmo già fatto le gare per i balneari. Giusto per citare una cosa grossa e una grossa minuzia. Ma non l’ha potuto fare, al punto che taluno può legittimamente pensare che avrebbe fatto meglio a impuntarsi, mentre lui non è parso addolorato dall’uscita. Non ha potuto perché una democrazia non può prescindere dalla politica e dalla raccolta del consenso, che oggi si pratica non proponendo soluzioni ma negando i problemi e agitando le paure.

Se questi sono i politicanti, la colpa è però dei cittadini. Nostra e collettiva. È colpevole raccontare palle, ma è colpevole anche crederci. Ciascuno di noi può leggere quelle pagine, non servono titoli accademici. Si può dissentire (ma su cosa? Davvero qualcuno può credere nella sovranità di Paesi che non raggiungono neanche l’1% della popolazione globale?), ma resta un efficace Piano politico. Se poi si preferiscono i partitanti che promettono la pensione anticipata e la facilitazione o la promozione a scuola, ci si è meritati il trinariciuto scempio che ne deriva.

di Davide Giacalone

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