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Europa

L’Europa e l’Europiazza. Difesa è politica

Dalle ‘piazzate’ di Strasburgo alla piazza di Roma il tragitto è però meno lungo di quanto dicano le mappe di Google. Nella babelica confusione delle lingue che si annuncia non potrà emergere dell’Europa altra immagine che non sia di un’oasi di serenità, senza nessuno dei turbamenti che scuotono il mondo là fuori

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L’Europa e l’Europiazza. Difesa è politica

Dalle ‘piazzate’ di Strasburgo alla piazza di Roma il tragitto è però meno lungo di quanto dicano le mappe di Google. Nella babelica confusione delle lingue che si annuncia non potrà emergere dell’Europa altra immagine che non sia di un’oasi di serenità, senza nessuno dei turbamenti che scuotono il mondo là fuori

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L’Europa e l’Europiazza. Difesa è politica

Dalle ‘piazzate’ di Strasburgo alla piazza di Roma il tragitto è però meno lungo di quanto dicano le mappe di Google. Nella babelica confusione delle lingue che si annuncia non potrà emergere dell’Europa altra immagine che non sia di un’oasi di serenità, senza nessuno dei turbamenti che scuotono il mondo là fuori

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Dalle ‘piazzate’ di Strasburgo alla piazza di Roma il tragitto è però meno lungo di quanto dicano le mappe di Google. Nella babelica confusione delle lingue che si annuncia non potrà emergere dell’Europa altra immagine che non sia di un’oasi di serenità, senza nessuno dei turbamenti che scuotono il mondo là fuori

Una questione di poche, tormentose ore. Il precipizio esercita una forza magnetica e resistervi non è facile per chiunque. Elly Schlein lo ha visto, in quella manciata di ore che l’hanno separata dal “no” a un voto di astensione sul piano ReArm Europe. Passare dal «Bravo Matteo» al «Bravo Viktor» era questione di un attimo e sarebbe stato l’attimo fatale in cui riassumere due anni di spossanti andirivieni. Come Nanni Moretti, Schlein ha chiesto ai suoi europarlamentari di andare, ma di farsi notare standosene in disparte. Così è stato. La débâcle politica è stata studiata nel dettaglio e consumata platealmente. In attesa di elaborarla e circoscriverne le conseguenze, fra poche ore, nella piazza di Michele Serra.

Dalle ‘piazzate’ di Strasburgo alla piazza di Roma il tragitto è però meno lungo di quanto dicano le mappe di Google. Nella babelica confusione delle lingue che si annuncia non potrà emergere dell’Europa altra immagine che non sia di un’oasi di serenità. Senza nessuno dei turbamenti che scuotono il mondo là fuori. Perché immaginare l’Unione Europea circondata da mari, montagne e altri Paesi non tutti proprio ben intenzionati nei nostri confronti, renderebbe afona la piazza di Serra. L’idea stessa che ciascuno scenda in piazza per gridare, agitando la bandiera azzurra con le stelle, la propria idea di Europa da far prevalere sull’idea altrui, indebolisce, opacizza il significato stesso di una manifestazione convocata – calendario canaglia – prima del piano «bellicista» (copyright Conte) di von der Leyen.

Dopo il voto del Parlamento europeo, che cosa potrebbe mai impedire a Salvini di stare in piazza domani e poi, fra qualche giorno, di ritrovarsi in piazza con Conte e i Cinque Stelle? A ben vedere, tanta e così ricca promiscuità è il dono avvelenato di una politica che arranca di fronte alle sfide della realtà. E preferisce rintanarsi nel comodo rifugio dell’ideologia. Come appunto è il pacifismo dei pacifisti, di coloro che ritengono il disarmo la più robusta e minacciosa delle difese. Tutto quanto accade o si pensa di far accadere invocando un’idea astratta dell’Europa è oggi la peggiore condanna che si possa infliggere al futuro dell’Unione.

La testata di questo giornale è sormontata dalla bandiera europea. Ogni nostro sforzo è indirizzato «a pensare europeo», come diceva Stendhal per elogiare la vivacità e il fermento intellettuale di Milano. Perché il confine geografico delle Alpi non è un cerchio messo alla testa. La stessa fatica si vorrebbe fatta dal ceto politico (Ugo La Malfa si indignava quando sentiva parlare di “classe politica”) sempre ripiegato a coltivare il proprio orticello e a presidiarne i confini da qualche vicino agitato.

Siamo entrati in un altro tempo, altri sono i confini da presidiare a cui prestare ogni nostra fatica e vigilanza. Fra la democrazia e l’autocrazia – termine gentile per indicare la dittatura – è necessario scavare un solco, è vitale marcare e difendere l’incompatibilità. Non per spodestare gli autocrati (compito che riguarda la società di quei Paesi), ma per impedirgli di costruire un mondo a loro immagine, di imporre la loro idea delle relazioni internazionali alle società democratiche costruite in opposizione alla dittatura.

L’Ucraina è l’ultimo confine dell’Europa. Se crolla, viene meno l’Europa. Che fare per impedirlo? La piazza di Michele Serra potrà dire qualcosa di positivo, poco di utile potrà dare. Sarà utile, per esempio, dire alla politica di scuotersi dalle rivalità da cortile e provare ad alzare lo sguardo oltre le miserie quotidiane. Anche se per chi è abituato alla cronaca minuta o a esaurire il pensiero nello spazio di un tweet non è facile trovarsi all’improvviso scaraventato dentro ore e giorni che scrivono la storia mentre la stiamo vivendo. Non è facile costruire una visione del mondo e pensare di farlo avendo ancora il vecchio ormeggio atlantico quando questo non c’è più e sperando che un giorno possa tornare.

L’Unione Europea è l’età adulta delle nostre democrazie, una volta uscite dalla fasciatura dell’Alleanza Atlantica. De Gasperi, citato da von der Leyen, fu atlantista arciconvinto, contro una parte non piccola della Dc. Questa sua fede non gli impedì di essere anche uno strenuo fautore della Comunità europea di difesa: «difesa dei nostri valori di democrazia e libertà» spiegava. Aveva la forza e la lungimiranza di chi sapeva guardare oltre la contingenza.

di Massimo Colaiacomo

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