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Le elezioni regionali in Liguria, un deserto

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Alle elezioni regionali in Liguria vince chi prende meno della metà dei voti di meno della metà dei votanti e perde chi invoca unità mentre litiga a più non posso

Le elezioni regionali in Liguria

Le elezioni regionali in Liguria, un deserto

Alle elezioni regionali in Liguria vince chi prende meno della metà dei voti di meno della metà dei votanti e perde chi invoca unità mentre litiga a più non posso

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Le elezioni regionali in Liguria, un deserto

Alle elezioni regionali in Liguria vince chi prende meno della metà dei voti di meno della metà dei votanti e perde chi invoca unità mentre litiga a più non posso

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Un deserto, sì un deserto. Dove vince chi prende meno della metà dei voti di meno della metà dei votanti, e perde chi invoca unità mentre litiga a più non posso.

Genova per noi e la Liguria tutta è un deserto di opportunità e di scelte che comincia a Ventimiglia e si sparge come un virus apparentemente inarrestabile per tutta l’Italia. Meglio dirlo chiaro: chi oggi inneggia al bipolarismo, che è nient’altro che una camicia di forza imposta dal sistema elettorale, volta la testa dall’altra parte rispetto al problema drammatico del Paese. Che non è tanto o solo quello di non avere una classe politica all’altezza della situazione quanto di non costruire per gli elettori sentieri percorribili per far sentire la propria voce a chi vince e poi governa, e spiegare dove sbaglia a chi perde e poi tutto quel che sa fare è piangersi addosso. Dopo ogni sconfitta in ogni tipo di consultazione ai perdenti si dice che il loro destino è una marcia nel deserto per rigenerarsi e arrivare all’agognata oasi del successo. Bene: da quando il sentimento dell’antipolitica è diventato il suo sinuoso mantra, l’Italia è in cammino in un deserto di possibilità che è più immenso del Sahara, visto che non finisce mai.

Se più della metà degli aventi diritto diserta i seggi vuol dire che le opzioni politiche sul tappeto non sono credibili. Di più: significa che i cittadini snobbano la politica ritenendola inutile a risolvere le loro necessità, a dare fiato alle speranze, a costruire un futuro con meno incognite dell’attuale. Anche gli astenuti capiscono che non votando non risolvono la situazione ma semmai la peggiorano. Tuttavia la rabbia, la disillusione e il risentimento fomentato da maestri tanto cattivi quanto imbelli sono talmente forti da prevalere su ogni altra considerazione. Chi dovrebbe intervenire per rovesciare una tale mortifera tendenza altro non fa che compitare giaculatorie, spesso di sapore autoassolutorio. È la perfetta ricetta per il disastro che per opportunismo, convenienza e, diciamolo, incapacità di comprensione in troppi non vogliono vedere. Il rifiuto della politica – e il tintinnio delle manette dei giustizialisti in servizio permanente effettivo nella società e sui media risulta sempre più flebile alle orecchie dei cittadini – è il film horror che da decenni viene proiettato in infinite repliche in sale vuote e botteghini disertati. Ma ai frequentatori del Palazzo va bene così: meglio spartirsi briciole di potere che – il divo Andreotti ci perdoni – aprire nuovi forni.

Poi, certo, ci sono anche le ragioni contingenti. In teoria in Liguria il centrosinistra doveva vincere facile – un rigore a porta vuota, sentenziano frotte di analisti – dopo il crollo della maggioranza, i domiciliari di Toti e perfino il tumore di Bucci, ieri sindaco di Genova e oggi governatore della Regione. La candidatura dell’ex ministro Orlando, personaggio di rilievo nazionale, doveva mettere d’accordo tutti e dare fiato alle trombe della marcia trionfale verso la riconquista di una regione storicamente votata a sinistra. Al contrario le divisioni, le permalosità, gli atteggiamenti sopracciò di leader arrivati dal nulla e di nulla propugnatori hanno sfarinato il sedicente ‘campo largo’ rendendolo un campo d’Agramante di indomabili velleità e calcoli ridicoli: come se i voti si comprassero al mercato e si potesse affastellarli senza problemi. Come detto, vale per la Liguria ma vale anche e soprattutto per l’Italia: parafrasando Nanni Moretti, continuando così il centrosinistra o come lo si vuole definire non vincerà mai e anche l’ottima performance del Pd (chapeau) rischia di essere un fuoco d’artificio bello ed effimero.

Ma anche dall’altra parte converrebbe gioire con parsimonia. Il marsupio della vittoria è più vuoto che pieno di consensi e quel che accade in periferia è facile immaginare possa propagarsi al centro. La disaffezione fa sì che il terreno da gioco sia preda unicamente degli ultrà. Che, com’è noto, più che costruire amano far casino.

di Carlo Fusi

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