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Commissari e Piano Draghi

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Il Piano Draghi non pone fuorigioco soltanto i sovranismi da burletta, ma anche i liberismi da barzelletta

Piano Draghi

Giocare con le parole non serve a niente, contano i fatti. Possiamo anche far finta che la partita del secolo si giochi sulle deleghe del commissario indicato dall’Italia, ma non ci crede nessuno. Contano i commissari, tutti e in tutti i sensi. E possiamo far finta di non avere capito la lettera e lo spirito del Piano Draghi, sicché lo si commenta dicendo che si è ben favorevoli all’integrazione di «settori strategici» oppure affermando – come ha fatto l’onorevole Foti, capogruppo di Fratelli d’Italia – che «una parte delle tesi di Draghi ricalca le nostre». Ma significa ignorare o sperare che sia ignorata la realtà.

Si osservi la durezza con cui le democrazie occidentali, Usa in testa, hanno condannato l’Iran che consegna armi di lungo raggio alla Russia. Sappiamo che lo fa fin dall’inizio, come la Corea del Nord. Sappiamo che ha consegnato un’infinità di droni Shahed e che tutto quell’arsenale è stato utilizzato per colpire il suolo ucraino. I missili sono arma più potente, ma la novità rilevante è che questo passaggio renderà ancora più esplicito il consenso all’uso delle armi occidentali per colpire le basi di lancio che si trovano in Russia. L’Italia è disallineata e si ritrova al fianco dell’Ungheria, essendo partita dalla posizione opposta e usando opposte parole. Questi i fatti. Il tema della difesa europea non può prescinderne. Per l’Italia l’integrazione difensiva sarebbe buona cosa e ottima occasione industriale, magari anche per liberarsi dei fornitori che vanno in ferie e non consegnano il Samp/T da spedire in Ucraina. Ma non si fa al fianco dell’Ungheria.

Il Piano Draghi non individua soltanto gli obiettivi ma anche gli strumenti. Se si accede all’accensione di ulteriore (perché esiste già) debito comune europeo, poi l’integrazione non si fa scegliendo sul menù ma su tutto oppure si sta fuori. Il vincolo del debito non lo si plaude per prendere i fondi, ripudiandolo poi per rifiutare i vincoli. Non è neanche poco serio, ma direttamente irreale.

Il ministro tedesco delle Finanze Christian Lindner, liberale, ha obiettato che il debito comune più i debiti nazionali raggiungono un livello troppo alto. Ha ragione. Il punto è: il debito comune dev’essere finalizzato alla competitività e sicurezza europee, ha una finalità diversa. Ma deve accompagnarsi a una discesa dei debiti nazionali, anche grazie alla crescita, a partire da quelli troppo alti (come il nostro e quello francese). Pensare di essere comunque favorevoli al debito e di tenersi le mani libere per quello nazionale è improponibile. Data la finalità del debito comune, dev’essere comune la centrale di coordinamento e spesa. È inimmaginabile una specie di disfunzionale divisione nazionale dei soldi presi in prestito. Quindi altro che integrazione a menù: o il pacchetto o fuori.

Il Piano Draghi non pone fuorigioco soltanto i sovranismi da burletta, ma anche i liberismi da barzelletta. Sono anni che si va dicendo che c’è l’onda neoliberista, ma non abbiamo mai smesso di vivere una realtà in cui la spesa pubblica supera la metà della ricchezza prodotta. La sfida possibile non è cancellare l’incancellabile, ma dimostrare che la spesa pubblica può non essere in bonus, regalie e clientele, amministrandola a favore della competitività e della concorrenza. La quale ultima non può essere interpretata come se il mercato europeo fosse il solo al mondo, ma mettendo gli operatori europei nella condizione di competere nel mondo. Perché la nostra non può essere una fortezza assediata e rattrappita, ma deve crescere portando prodotti e modelli nel mondo.

Auguriamo a Raffaele Fitto di ottenere tutto quello che chiede, ma non siamo nati ieri e sappiamo che non sarà quello a cambiare alcunché. Può servire se si è capaci di spiegare agli italiani e agli europei qual è la partita globale e perché contro una squadra di undici giocatori non può giocare la partita uno solo, foss’anche un campione. Raccontare bubbole inganna il tempo, ma distrugge chi crede all’inganno.

Davide Giacalone

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