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Trent’anni dall’inchiesta Mani Pulite

Nello scontro tra politica e magistratura nato nel 1992 con l’inchiesta ‘Mani Pulite’ è arrivato il momento per un percorso di pacificazione
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All’inizio del Seicento, la Guerra dei Trent’anni devastò l’Europa. Fu un conflitto nato da motivazioni religiose per l’opposizione tra cattolici e protestanti. Alla fine i contrapposti eserciti si sfibrarono vicendevolmente lasciando cumuli di macerie. Anche in Italia, fortunatamente senza spargimento di sangue ma non senza conseguenze sul sistema, è in atto una battaglia che dura da trent’anni, che vede schierati eserciti agguerriti e che pure ha connotazioni di disputa “religiosa” perché intrisa di posizioni ideologicamente irriducibili. È lo scontro tra politica e magistratura nato nel 1992 con l’inchiesta Mani Pulite e trascinatosi con alterne vicende fino a oggi. Brutalmente: è durata fin troppo, ha squassato il Paese e incrinato le istituzioni. È ora che finisca.

Negli ultimi dieci anni il Palazzo ha avuto Guardasigilli di ogni tipo: tecnici (Cancellieri con Letta a Palazzo Chigi); di sinistra (Orlando con Renzi e Gentiloni); populisti (Bonafede con Conte capo di governi di destra e di sinistra); di destra (Nordio, che è un tecnico ma con formazione culturale conservatrice). E pure la magistratura ha avuto il suo rivolgimento d’immagine e comportamentale, con la vicenda Palamara che ha scoperchiato pastette, carrierismi, ambizioni smodate.

Adesso è arrivato il momento che ciascuno dei due eserciti deponga le armi e avvii un percorso di pacificazione: altrimenti l’intelaiatura del sistema Italia rischia di pencolare fino a cedere. Il ministro Nordio ha avuto il merito di mettere sul tappeto, senza infingimenti o ipocrisie, tutti i problemi di fondo: dalla separazione delle carriere all’obbligatorietà dell’azione penale; dalle intercettazioni a strascico che non servono a individuare le prove ma diventano esse stesse la prova – troppe volte devastando la vita di indagati, magari finiti prosciolti – fino all’abuso d’ufficio (traffico di influenze compreso), reato trasversalmente contestato e che blocca l’attività di sindaci e amministratori.

È opportuno che su tutti questi argomenti si sviluppi un confronto serio, aspro se necessario e approfondito che però porti finalmente a una conclusione con riforme profonde e strutturali. Estirpando con nettezza ogni tentazione di improbabili “rivincite” e qualunque arroccamento corporativo sotto le insegne della indipendenza delle toghe. Perché l’indipendenza è una cosa, il potere senza controllo è un’altra.

Tocca alla politica stabilire il perimetro legislativo di misure che portino a una giustizia più celere e più equilibrata tra accusa e difesa secondo l’articolo 111 della Costituzione. Spetta ai magistrati intervenire per segnalare criticità e proposte migliorative. In un contesto di leale e costruttiva collaborazione, visto che le dispute finora messe in campo hanno avuto un unico danneggiato: il cittadino comune.

Di più. Per il governo Meloni si tratta di un’occasione unica e imperdibile. Su altri fronti – da quello economico al rapporto con la Ue, dal costo dell’energia allo scontro tra Russia e Ucraina – i margini di manovra sono stretti e tali resteranno a lungo. Quanto al presidenzialismo, è impegno fumoso e montagna fin troppo alta da scalare. La giustizia no, poggia sulla terra delle cose fattibili e indispensabili. Se non diventa terreno di adeguati interventi, è difficile che ci siano altri terreni su cui cogliere allori. Non è un caso se finora le maggiori critiche a Nordio abbiano avuto uno stigma corporativo, rilanciate da house organ in servizio permanente effettivo. Mentre anche a sinistra si sono levate significative voci a favore. Coraggio: magari questa è davvero la volta buona.

Di Carlo Fusi

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