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Autismo ridefinito e terapie 

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Il 9 luglio scorso, sulla prestigiosa rivista “Nature Genetics”, è stato pubblicato uno studio dell’Università di Princeton che rivoluzionerà le diagnosi di autismo

Autismo ridefinito e terapie 

Il 9 luglio scorso, sulla prestigiosa rivista “Nature Genetics”, è stato pubblicato uno studio dell’Università di Princeton che rivoluzionerà le diagnosi di autismo

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Autismo ridefinito e terapie 

Il 9 luglio scorso, sulla prestigiosa rivista “Nature Genetics”, è stato pubblicato uno studio dell’Università di Princeton che rivoluzionerà le diagnosi di autismo

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Il 9 luglio scorso, sulla prestigiosa rivista “Nature Genetics”, è stato pubblicato uno studio dell’Università di Princeton che rivoluzionerà le diagnosi di autismo. Dopo decenni in cui il concetto di spettro autistico è stato allargato fino a includere manifestazioni molto diverse tra loro, la nuova ricerca degli scienziati americani mette finalmente un po’ di ordine e restituisce un quadro coerente – per quanto ancora incompleto – di una condizione di cui ci sembra di sapere ancora troppo poco. In realtà questo studio non annulla il concetto di spettro ma lo definisce, lo delimita. Unisce finalmente i puntini, dando forma a fenotipi non soltanto comportamentali ma anche genetici. Si tratta di un cambiamento epocale che riscriverà necessariamente i manuali diagnostici, seguendo la tendenza attuale della medicina a diventare sempre più personalizzata, grazie proprio alle nuove conoscenze in ambito genetico.

Partendo da un campione di circa 5mila bambini con diagnosi di autismo, i ricercatori hanno analizzato più di 230 tratti che hanno permesso di identificare quattro sottotipi, ognuno associato a un pattern genetico specifico. Questo significa che a un determinato fenotipo autistico corrisponde un genotipo specifico, che si differenzia dagli altri non solo quantitativamente ma anche qualitativamente. E mentre fino a oggi si è sempre distinto tra autismo e ritardo nello sviluppo, questo studio include la compromissione cognitiva tra i tratti analizzati per determinare i quattro fenotipi, modificando il paradigma precedente.

Il primo gruppo è quello delle “difficoltà sociali e comportamentali”. Riunisce i soggetti con i tratti caratteristici dell’autismo (difficoltà nell’interazione sociale, interessi e comportamenti stereotipati e ripetitivi) che non presentano ritardi nello sviluppo, ma hanno frequenti comorbilità psichiatriche come ansia, depressione o disturbo ossessivo-compulsivo. Il secondo gruppo è quello del “disturbo dello spettro autistico misto con ritardo nello sviluppo”, mentre il terzo è quello delle “difficoltà moderate” che mostrano tratti meno evidenti senza comorbilità con disturbi psichiatrici. Il quarto gruppo corrisponde a quello comunemente chiamato “autismo grave”, con tratti autistici molto marcati e gravi compromissioni in tutti gli ambiti. Dal punto di vista della genetica, quest’ultimo gruppo è quello che mostra più mutazioni non ereditate dai genitori ma sviluppate a livello dei gameti, durante il concepimento o durante la gestazione. Questo non significa che un bambino autistico con gravi compromissioni non possa avere un genitore a sua volta autistico con una manifestazione più moderata, ma che la differenza tra i due fenotipi – a differenza degli altri gruppi – è data da fattori non ereditati, potremmo dire ‘casuali’.

Questo studio – che ha il difetto di essere molto sbilanciato sul genere maschile, sull’età pediatrica e sul fenotipo caucasico – sta già creando uno tsunami nella comunità autistica. Il timore è che la fenotipizzazione cancelli anni di battaglie per veder riconosciuta la diagnosi a tutte quelle persone che non hanno disabilità intellettiva e le cui difficoltà derivano principalmente dalla sfera sociale; ma anche che, in mano a persone poco esperte, si traduca nella vecchia distinzione binaria (fra autismo grave e autismo lieve) che non tiene conto delle gravi difficoltà che le persone autistiche senza compromissioni cognitive devono comunque affrontare. Le stesse difficoltà che, per esempio, le portano ad avere un tasso di suicidi di 25 volte superiore a quello della popolazione generale e anche di quella autistica con gravi compromissioni.

La speranza è invece che questo studio spiani finalmente la strada a nuovi percorsi terapeutici più efficaci e personalizzati, nell’ottica di aiutare tutta la popolazione autistica a migliorare la propria condizione di vita, senza preconcetti e rifiuti aprioristici.

di Maruska Albertazzi

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